#Brexit: Il timore di un’uscita senza accordi fa tremare l’economia europea


Foto: www.politico.eu

La crescente probabilità di una Brexit senza accordi nel prossimo marzo 2018, sta creando uno shock economico-politico in Europa. Dopo che l’Unione Europea ha respinto il “Chequers plan” illustrato da Theresa May a Salisburgo in settembre, appare sempre più chiaro che la Gran Bretagna potrebbe lasciare l’UE senza alcun accordo sulle sue future relazioni politiche e commerciali.

Mercoledì scorso, a Parigi, il ministro degli Affari europei, Nathalie Loiseau, ha annunciato di aver presentato al Consiglio dei ministri francese, una legge che consente al presidente Emmanuel Macron d’imporre decreti di emergenza per i rapporti futuri con la Gran Bretagna: “Un buon accordo con il Regno Unito è ancora possibile, tuttavia dobbiamo prepararci a tutti gli scenari, compresa l’uscita senza accordi”. La Loiseau ha indicato tra i problemi principali: “…la situazione dei francesi residenti nel Regno Unito e degli inglesi che vivono in Francia dopo la Brexit del 30 marzo 2019”. Attualmente, sono circa 1,2 milioni i cittadini britannici che vivono nei diversi paesi dell’UE.

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Ciò che appare evidente, è che in quasi due anni di colloqui tra Bruxelles e Londra non si è riusciti a creare una relazione stabile tra il Regno Unito e l’Unione Europea. Alla fine dell’Agosto scorso, pescherecci francesi e britannici si sono scontrati violentemente nella Manica. Autorità portuali, industrie e governi si affannano impreparati all’improvvisa scadenza che metterà fine ai vecchi rapporti Oltre Manica: attualmente nessuno sa prevedere quali saranno i nuovi rapporti nel dopo Brexit.
Il calendario della Brexit illustrato dall’Agenzia France Press

Tutti i principali governi dell’UE confinanti con la Gran Bretagna stanno pianificando di ripristinare i controlli alle frontiere con la Gran Bretagna, il che avrebbe effetti devastanti sulle catene di approvvigionamento europee. Martedì scorso, il governo francese ha schierato 700 nuove guardie di frontiera per ispezionare i camion in transito verso la Gran Bretagna con il traghetto o con l’Eurotunnel, in previsione di una Brexit senza accordo. I Paesi Bassi dispiegheranno 1000 nuove guardie di frontiera e il Belgio 141.

Il presidente della lobby giapponese Keidanren, Hiroaki Nakanishi, ha dichiarato a Bloomberg che, nel caso di una Brexit senza accordo, “è naturale presumere che le aziende giapponesi possano iniziare a lasciare il Regno Unito”. Zyl, ha confermato l’intenzione di fermare la produzione in Gran Bretagna, sapendo che l’87 percento dei 144.000 veicoli prodotti nello stabilimento di Burnaston vengono poi spediti nei mercati dell’UE. Il gruppo finanziario Mitsubishi prevede di trasferire la sua sede europea da Londra ad Amsterdam, mettendo a rischio 2000 posti di lavoro.

Tuttavia, non tutti i posti di lavoro minacciati dalla Brexit nelle società giapponesi si trovano in Gran Bretagna. Il birraio giapponese Asahi esporta la birra Peroni in Gran Bretagna dall’Italia, dove ha una presenza limitata nel mercato locale della birra e potrebbe subire perdite significative se rimane lì. Hitachi Construction Machinery ha dichiarato che potrebbe smettere di esportare macchinari da impianti di produzione situati in Gran Bretagna e spedirli dal Giappone.

Più in generale, le aspettative della Brexit stanno stabilendo piani di movimento per un vasto cambiamento nelle relazioni commerciali, che potrebbero sconvolgere l’economia europea e globale. Secondo il Journal of Commerce , il 40% delle aziende intervistate in Gran Bretagna cerca di sostituire i propri fornitori europei, mentre il 63% delle aziende europee che lavorano con fornitori britannici prevedono di trasferire le loro catene di approvvigionamento. I porti e le compagnie di navigazione stanno cercando di determinare le conseguenze della Brexit, auspicando un accordo amichevole tra i funzionari dell’UE e Londra.

Circa 14.000 camion attraversano quotidianamente il confine tra l’Unione europea e la Gran Bretagna e il 53% delle importazioni britanniche proviene dall’Unione europea, il che consente un controllo attento di tutto il traffico frontaliero tra l’Unione europea e il Regno Unito. Joachim Coens, CEO del porto belga di Zeebrugge, ha dichiarato all’Independent che circa 4.000 camion attraversano la Manica da li: “Se restano bloccati anche per poche ore, si rischia una coda di 60 chilometri”.

A causa dei controlli di dogana, altri rallentamenti potrebbero svilupparsi nel porto britannico di Dover, dove transitano 10.000 veicoli ogni giorno e nel tunnel sotto la Manica tra la Gran Bretagna e la Francia. Anticipando il peggio, alcune industrie hanno immagazzinato anticipatamente grosse scorte, in previsione di un blocco prolungato sul confine tra il Regno Unito e l’Unione Europea.

Il caos che sta prendendo forma dalla Brexit, segna una nuova crepa nel capitalismo europeo. Il voto sulla Brexit ha espresso il disincanto delle masse proletarie a fronte dell’austerità e degli attacchi ai diritti democratici provenienti dall’Unione europea. L’euro è l’UE, hanno dato luogo alla contraddizione tra un’economia globale cinica e spietata, contro la civiltà del welfare degli stati europei: una rivolta proletaria contro il neoliberismo, per gli europei era ed è inevitabile.

Quello a cui stiamo assistendo, è l’unificazione della classe operaia in Gran Bretagna e in Europa in una lotta comune contro le classi dominanti. Sia al di qua che al di la della Manica, il proletariato si ribella ai tentativi dei politici “istituzionali” di scaricare i costi di euro e UE, sulle spalle dei lavoratori: un risultato spontaneo, che supera le classiche logiche dell’internazionale proletaria. 

Luciano Bonazzi

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