#EmergenzaFame #NuoviPoveri #Bologna La mensa dell’Antoniano registra un aumento del 50%


In fila per un pasto: se una decina di anni fa, qualcuno avesse ipotizzato una situazione del genere a Bologna, probabilmente sarebbe stato accusato di complottismo. Certamente, più d’uno avrebbe risposto che l’Italia non è la Grecia. Ebbene, dopo la crisi globale del 2008, in seguito alle azioni di bassa macelleria sociale iniziate nel 2011 e protratte dai governi successivi, la povertà sta falcidiando la piccola borghesia. Ovviamente utilizziamo quest’ultima definizione per distinguere i nuovi poveri dai senza dimora che tradizionalmente si rivolgevano alle mense di povertà.

Da parte nostra non abbiamo nemmeno la certezza di poter definire “piccolo borghesi” precari, lavoratori autonomi e piccoli negozianti, senza più un lavoro. A questi vanno aggiunti i lavoratori dipendenti del settore privato, che non hanno mai ricevuto l’assegno di cassa integrazione, causa farraginosità burocratica e disinteresse da parte dell’esecutivo. Dopo circa due mesi di blocco giustificato dalla pandemia da coronavirus, la coda di persone “normali” (sic.) i cui redditi sono azzerati, è andata ad accrescere la domanda di cibo in tutte le strutture benefiche bolognesi.

Per comprendere la portata della crisi sociale, basti pensare che nella sola mensa dei poveri dell’Antoniano di Bologna, i pasti distribuiti sono cresciuti del 50%. In tempi normali, cioè prima che il Coronavirus costringesse alla chiusura tante attività economiche, l’Antoniano di Bologna ospitava 120-130 persone ogni giorno. Oggi, secondo i frati, ai consueti fruitori della mensa si sono aggiunti 65 nuovi ospiti. Il mutamento osservato dai religiosi è quello del tipo di utenti, non più senzatetto o mendicanti, ma persone cadute in miseria che non si erano mai viste varcare la soglia dell’istituzione.

Bisogna considerare che non solo l’Antoniano, ma anche le Cucine Popolari e altre mense di povertà stanno registrando dati analoghi.

Luciano Bonazzi