Il super-Stato cinese Han

Pur non  condividendone appieno i contenuti, nel rispetto del diritto d’opinione, pubblichiamo il seguente articolo di Gordon G. Chang. Pezzo originale in lingua inglese, China’s Han Superstate: The New Third Reich. Traduzioni di Angelita La Spada, adattamenti a cura della Redazione.

Il super-Stato cinese Han: Il nuovo Terzo Reich

  • Il leader cinese Xi Jinping chiede di “sinizzare” le cinque religioni riconosciute – il riconoscimento ufficiale è un meccanismo di controllo. I cinesi, come parte di questo impietoso e inesorabile sforzo, stanno distruggendo le moschee e le chiese, costringendo i devoti musulmani a bere alcolici e a mangiare carne suina, inviando i funzionari di etnia Han a vivere nelle case musulmane e ponendo fine all’educazione religiosa dei minori.
  • I media cinesi, in questi ultimi anni, hanno moltiplicato la diffusione di stereotipi orribili sugli africani. Lo sketch trasmesso lo scorso anno dalla principale emittente televisiva di Stato – con 800 milioni di telespettatori – non è stato il peggiore, ma ha dato una chiara idea di quello che i funzionari cinesi pensano degli africani, considerandoli tanto esseri inferiori quanto oggetto di scherno.
  • Campi di concentramento, razzismo, eugenetica, ambizioni di dominio mondiale. Vi ricordano qualcosa?
  • C’è un nuovo Terzo Reich ed è la Cina.

Più di un milione di persone sono internate, senza alcuna ragione se non per la loro appartenenza etnica o religiosa, nei campi di concentramento situati in quella che Pechino definisce la Regione autonoma uigura dello Xinjiang, e che gli abitanti tradizionali dell’area, gli uiguri, chiamano Turkestan orientale. Oltre agli uiguri, in queste strutture sono rinchiusi anche i kazaki.

Le famiglie di questa regione martoriata del nord-ovest della Repubblica popolare cinese sono state smembrate. I figli degli uiguri e dei kazaki che sono stati imprigionati vengono “confinati” in “scuole” isolate dal mondo esterno dal filo spinato e sorvegliate da numerose pattuglie di polizia. A questi ragazzi viene negata l’istruzione nella loro lingua, e sono costretti a imparare il cinese mandarino. I controlli fanno parte della cosiddetta politica di “hanificazione”, un programma di assimilazione forzata. “Han” è il nome del gruppo etnico dominante in Cina.

E poiché gli uiguri e i kazaki stanno morendo nei campi di concentramento in numero considerevole, Pechino costruisce forni crematori per sradicare le usanze funebri e smaltire in tal modo i cadaveri. I campi, un crimine contro l’umanità, si stanno diffondendo. La Cina sta costruendo anche in Tibet, nella parte sudoccidentale del paese, delle strutture simili, alle quali vengono date vari nomi eufemistici come “centri di formazione professionale”.

Inoltre, Pechino reitera il tentativo di eliminare la religione in tutto il paese. I cristiani si trovano maggiormente sotto attacco, proprio come i buddisti. Il leader cinese, Xi Jinping, chiede di “sinizzare” le cinque religioni riconosciute – il riconoscimento ufficiale è un meccanismo di controllo. I cinesi, come parte di questo impietoso e inesorabile sforzo, stanno distruggendo le moschee e le chiese, costringendo i devoti musulmani a bere alcolici e a mangiare carne suina, inviando i funzionari di etnia Han a vivere nelle case musulmane e ponendo fine all’educazione religiosa dei minori.

Questi tentativi, che hanno dei precedenti nella storia cinese, sono stati intensificati da quando Xi è diventato il segretario generale del Partito comunista, nel novembre del 2012. Al contempo, Xi, molto più dei suoi predecessori, ha promosso il concetto di un ordine mondiale governato da un solo sovrano, quello cinese. A grandi linee, la visione del mondo nutrita da Xi assomiglia molto a quella del Terzo Reich, almeno prima degli omicidi di massa.

Il Terzo Reich e la Repubblica popolare cinese condividono un razzismo virulento, che in Cina viene simpaticamente definito “sciovinismo Han”. Il gruppo Han, che si dice annoveri circa il 92 per cento della popolazione della Repubblica popolare, è in realtà la fusione di gruppi etnici affini. La mitologia cinese sostiene che tutti i cinesi discendono dall’Imperatore Giallo, il quale avrebbe regnato nel terzo millennio a.C. I cinesi si considerano una branca dell’umanità separata dal resto del mondo, una visione rafforzata dall’indottrinamento nelle scuole, tra le varie cose.

Gli studiosi cinesi fondano la loro diversità sulla teoria evoluzionistica de “l’Uomo di Pechino”, secondo la quale i cinesi non condividono un antenato africano comune con il resto dell’umanità. Questa teoria dell’evoluzione separata dei cinesi ha rafforzato, non a caso, le idee razziste. A causa del razzismo, molti in Cina, inclusi i funzionari, “credono di essere assolutamente diversi dal resto dell’umanità e implicitamente superiori”, scrive Fei-Ling Wang, autore di The China Order: Centralia, World Empire, and the Nature of Chinese Power.

Pertanto, il razzismo è istituzionalizzato e apertamente promosso. Ciò è stato terribilmente evidente lo scorso anno nello sketch di 13 minuti andato in onda durante il Galà della Festa di Primavera, lo spettacolo di varietà più seguito nel paese e trasmesso dall’emittente China Central Television. In “Festeggiamo insieme”, un’attrice cinese con il viso dipinto di nero interpretava il ruolo di una madre keniota, dotata di un seno enorme e di natiche posticce ridicolmente grandi. E peggio ancora, la sua spalla era una persona travestita da scimmia. L’associazione scimmia-donna faceva eco alla mostra allestita al Museo della provincia di Hubei dal titolo “Questa è l’Africa”, in cui nel 2017 furono esposte le foto di africani accanto a immagini di primati.

I media cinesi, in questi ultimi anni, hanno moltiplicato la diffusione di stereotipi orribili sugli africani. Lo sketch trasmesso lo scorso anno dalla principale emittente televisiva di Stato – con 800 milioni di telespettatori – non è stato il peggiore, ma ha dato una chiara idea di quello che i funzionari cinesi pensano degli africani, considerandoli tanto esseri inferiori quanto oggetto di scherno. Stando così le cose, si può desumere che tale visione sia condivisa dalla leadership di Pechino, che, in modo allarmante, lancia con maggiore frequenza appelli razzisti ai cinesi – e non solo a quelli che abitano in Cina.

La razza superiore di questo XXI secolo ha però un problema. La Cina, che oggi è lo Stato più popoloso del mondo, affronta un rapido declino demografico. Il tasso di natalità dello scorso anno è stato il più basso da quando la Repubblica popolare fu fondata nel 1949. Secondo il World Population Prospects 2017, pubblicato dalla Divisione per la popolazione del Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, la popolazione del paese raggiungerà l’apice nel 2029. Ma questo picco potrebbe essere toccato nei prossimi due anni, poiché le cifre fornite dalle Nazioni Unite si basano sulle previsioni eccessivamente ottimistiche di Pechino. I demografi ufficiali cinesi, ad esempio, lo scorso anno non avevano previsto il crollo del tasso di natalità.

Nel 2024, si verificherà un altro evento epocale. A quel punto, per la prima volta in almeno 300 anni – e forse per la prima volta nella storia documentata – la Cina non sarà la società più popolosa al mondo. Quell’onore andrà a un paese che i cinesi in genere detestano e temono: l’India. E quando raggiungerà il suo picco nel 2061, l’India avrà 398,088 milioni di abitanti in più rispetto alla Cina.

Una volta che la popolazione della Cina inizierà a contrarsi, il processo subirà un’accelerazione. Nel 2018, la popolazione cinese era 4,3 volte maggiore di quella dell’America. Entro il 2100, si prevede che la Cina avrà una popolazione solo 2,3 volte più numerosa. Il percorso demografico è stabilito da decenni e avrà gravi conseguenze – ed estremamente negative – per la società cinese e per la “forza nazionale globale” del paese. Forse è per questo motivo che Pechino sembra cercare di compensare una demografia al collasso gettando le basi per una razza di superuomini cinesi.

He Jiankui della Southern University of Science and Technology di Shenzhen ha annunciato a novembre di aver usato la tecnica CRISPR per modificare gli embrioni umani dai quali sarebbero nate due gemelle. Il genetista cinese ha affermato di aver reso le bambine resistenti all’HIV, ma circola voce che abbia anche cercato di migliorarne l’intelligenza. In ogni caso, la dichiarazione ha evocato esperimenti eugenetici nazisti, soprattutto perché risulta che il governo cinese abbia incoraggiato il “primo esperimento al mondo” effettuato da Jiankui e considerato dalla comunità scientifica internazionale immorale e pericoloso.

Xi Jinping è davvero pericoloso. “Mao Zedong potrebbe aver giocato sui risentimenti razzisti del Terzo Mondo quando cercava di unire le ex popolazioni coloniali contro gli imperialisti bianchi, ma pensava che il comunismo fosse un fenomeno globale che alla fine avrebbe messo radici ovunque e l’utopia di Mao era nel futuro”, ha detto al Gatestone Charles Horner, Senior Fellow presso l’Hudson Institute. “Il Partito comunista cinese di Xi Jinping non è globale né utopistico; piuttosto, sembra essere alla mercé di una imprescindibile ‘cinesità'”.

Horner ravvisa sconcertanti analogie tra la Cina di Xi e il Giappone imperiale degli anni Trenta. “Proprio come il Giappone imperiale”, ha aggiunto Horner, “Xi e il Partito guardano a un passato mitizzato, con un benevole imperatore che riunisce il mondo intero per godere della sua gloria e condividere la sua munificenza”.

Campi di concentramento, razzismo, eugenetica, ambizioni di dominio mondiale. Vi ricordano qualcosa?

C’è un nuovo Terzo Reich ed è la Cina.

Gordon G. Chang è l’autore di “The Coming Collapse of China” e Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.