#NoNato ESERCITAZIONE DI GUERRA DELLA NATO E GLI USA PREPARANO EUROMISSILI NUCLEARI


Immagine www.irozhlas.cz Dal Comitato promotore della campagna #NOGUERRA #NONATO, pubblichiamo il seguente articolo di Manlio Dinucci, gli adattamenti sono a cura della Redazione: In fondo troverete il link della petizione che vi invitiamo a firmare.

TRIDENTE NATO DA NAPOLI AL NORD ATLANTICO

23 OTT 2018 – Marines Usa, sbarcati da convertiplani ed elicotteri della nave da assalto anfibio Iwo Jima, hanno «messo in sicurezza» l’aeroporto di Keflavík in Islanda, dove sono arrivati da Sigonella aerei Poseidon P-8A per la caccia ai sottomarini nemici. Così ha preso avvio il 17 ottobre l’esercitazione NATO Trident Juncture 2018, la cui fase principale si svolge dal 25 ottobre al 7 novembre nella Norvegia centrale e orientale, nelle aree adiacenti del Nord Atlantico (fino all’Islanda) e del Mar Baltico (inclusi gli spazi aerei di Svezia e Finlandia).

Vi prendono parte le forze armate dei 29 paesi membri della NATO, più quelle di due partner, Svezia e Finlandia. Complessivamente, circa 50 mila uomini, 65 grandi navi, 250 aerei, 10 mila carrarmati e altri veicoli militari. Se questi fossero messi in fila, l’uno accosto all’altro, formerebbero una colonna lunga 92 km. Comandante dell’esercitazione, una delle maggiori degli ultimi anni, è l’ammiraglio statunitense James Foggo. Nominato dal Pentagono come i suoi predecessori, egli comanda allo stesso tempo la Forza Congiunta Alleata (Jfc Naples) con quartier generale a Lago Patria (Napoli), le Forze Navali USA in Europa e le Forze Navali USA per l’Africa, con quartier generale a Napoli Capodichino.

L’ammiraglio comanda la Trident Juncture 2018 dalla Mount Whitney, nave ammiraglia della Sesta Flotta, trasferita da Gaeta al Nord Atlantico: un quartier generale galleggiante, collegato alla rete globale di comando e controllo del Pentagono anche attraverso la stazione Muos di Niscemi. Ciò conferma l’importanza dei comandi e delle basi USA/NATO in Italia non solo per il Mediterraneo, ma per l’intera «area di responsabilità» del Comandante Supremo Alleato in Europa, che è sempre un generale statunitense, attualmente Curtis Scaparrotti, nominato dal presidente degli Stati Uniti: tale area geostrategica, a partire dal 2002, «si è estesa per coprire tutte le operazioni NATO, indipendentemente dalla loro loro collocazione geografica».

Obiettivo ufficiale della Trident Juncture 2018 è «assicurare che le forze NATO siano pronte a rispondere a qualsiasi minaccia da qualsiasi direzione provenga». Basta dare uno sguardo alla carta geografica, però, per capire che la maxi esercitazione di guerra è focalizzata in un’unica direzione: ad Est, contro la Russia. L’ammiraglio Foggo sostiene che è iniziata la «Quarta battaglia dell’Atlantico», dopo quelle delle due guerre mondiali contro gli U-Boot tedeschi e della guerra fredda contro i sottomarini sovietici: essa viene condotta contro la Russia, nuova «potenza marittima aggressiva», i cui «sottomarini sempre più sofisticati minacciano la capacità della Nato di esercitare il controllo marittimo del Nord Atlantico e, di conseguenza, le linee di comunicazione marittima tra gli Stati uniti e l’Europa».

Rovesciando i fatti, l’ammiraglio sostiene che la Russia «sfida la presenza Usa e Nato» non solo nell’Atlantico, ma anche «nel Mar Baltico e nel Mar Nero», ossia nei mari su cui si affaccia la Russia europea. Si scopre così, oltre quella militare, l’altra finalità della Trident Juncture 2018: una maxi psyop (operazione psicologica) per alimentare l’idea che l’Europa è minacciata da una Russia sempre più aggressiva. In Svezia, paese partner della Nato, è stato distribuito a 4,8 milioni di famiglie un manuale di sopravvivenza su come prepararsi alla guerra, facendo scorte di viveri e altri generi essenziali, imparando a come comportarsi quando suoneranno le sirene di allarme che annunceranno l’attacco russo. La NATO si prepara così a inglobare a tutti gli effetti anche la Svezia, già paese «neutrale».

Manlio Dinucci, Il Manifesto, 23 ottobre 2018

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LA CASA BIANCA PREPARA IL RITORNO DEGLI EUROMISSILI

L’annuncio che «Trump rottama lo storico trattato nucleare con Mosca» – il Trattato sulle forze nucleari intermedie (Inf) – non era inatteso. Ora però è ufficiale. Per capire la portata di tale atto, va ricordato il contesto storico da cui nacque il Trattato. Esso venne firmato a Washington, l’8 dicembre 1987, dal presidente degli USA Ronald Reagan e dal presidente dell’URSS Michail Gorbaciov, accordatisi l’anno prima al vertice di Reykjavik. In base ad esso gli Stati uniti si impegnavano a eliminare gli «euromissili»: i missili balistici Pershing 2, schierati in Germania Occidentale, e i missili da crociera lanciati da terra, schierati in Gran Bretagna, Italia, Germania Occidentale, Belgio e Olanda; l’Unione Sovietica si impegnava a eliminare i missili balistici SS-20, schierati sul proprio territorio.

Il Trattato Inf stabiliva non semplicemente un tetto allo schieramento di una specifica categoria di missili nucleari, ma l’eliminazione di tutti i missili di tale categoria: entro il 1991 ne furono eliminati complessivamente 2692. Il limite del trattato consisteva nel fatto che esso eliminava i missili nucleari a gittata intermedia e corta lanciati da terra, non però quelli lanciati dal mare e dall’aria. Nonostante ciò, il Trattato Inf costituiva un primo passo sulla via di un reale disarmo nucleare.

Questo importante risultato era dovuto sostanzialmente all’«offensiva del disarmo» lanciata dall’Unione Sovietica di Gorbaciov: il 15 gennaio 1986, essa aveva proposto non solo di eliminare i missili sovietici e statunitensi a gittata intermedia, ma di attuare un programma complessivo, in tre fasi, per la messa al bando delle armi nucleari entro il 2000. Progetto che rimase sulla carta perché Washington approfittò della crisi e della disgregazione della superpotenza rivale per accrescere la superiorità strategica, compresa quella nucleare, degli Stati Uniti, rimasti l’unica superpotenza sulla scena mondiale.

Non a caso il Trattato Inf è stato messo in discussione da Washington quando gli Stati uniti hanno visto diminuire il loro vantaggio strategico su Russia, Cina e altre potenze. Nel 2014, l’amministrazione Obama ha accusato la Russia, senza portare alcuna prova, di aver sperimentato un missile da crociera della categoria proibita dal Trattato, annunciando che «gli Stati Uniti stanno considerando lo spiegamento in Europa di missili con base a terra», ossia l’abbandono del Trattato Inf (il manifesto, 9 giugno 2015). Il piano è stato confermato dalla amministrazione Trump: nell’anno fiscale 2018 il Congresso ha autorizzato il finanziamento di un programma di ricerca e sviluppo di un missile da crociera lanciato da terra da piattaforma mobile su strada.

Il piano viene sostenuto dagli alleati europei della NATO. Il recente Consiglio Nord Atlantico a livello di ministri della Difesa, cui ha partecipato per l’Italia Elisabetta Trenta (M5S), ha dichiarato che «il Trattato Inf è in pericolo a causa delle azioni della Russia», accusata di schierare «un sistema missilistico destabilizzante, che costituisce un serio rischio per la nostra sicurezza». Mosca nega che questo sistema missilistico violi il Trattato Inf e, a sua volta, accusa Washington di aver installato in Polonia e Romania rampe di lancio di missili intercettori (quelli dello «scudo»), che possono essere usate per lanciare missili da crociera a testata nucleare.

Secondo notizie trapelate dall’Amministrazione, gli Stati Uniti si preparano a schierare missili nucleari a raggio intermedio lanciati da terra non solo in Europa contro la Russia, ma anche nel Pacifico e in Asia contro la Cina.

Manlio Dinucci, Il Manifesto, 23 ottobre 2018

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