#ONU #Migranti Stati membri delle Nazioni Unite: La migrazione è un diritto umano

La marcia sugli USA degli Honduregni, foto contropiano.org.

Dal Gatestone Institute, riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Judith Bergman, Pezzo originale in lingua inglese, UN Member States: Migration Is a Human Right, Traduzioni di Angelita La Spada, adattamenti a cura della Redazione.

  • È evidente che questo accordo non riguarda i rifugiati in fuga dalle persecuzioni né i loro diritti alla protezione in virtù del diritto internazionale. Piuttosto, l’accordo diffonde l’idea radicale che la migrazione – per qualunque motivo – debba essere incoraggiata, autorizzata e tutelata.
  • Le Nazioni Unite non hanno alcun interesse ad ammettere che il loro accordo promuove la migrazione, in quanto diritto umano; fino a qualche tempo fa, c’era ben poco da discutere a riguardo. Un maggiore dibattito avrebbe potuto compromettere l’intero progetto.
  • Gli Stati membri delle Nazioni Unite non dovrebbero soltanto aprire le loro frontiere ai migranti di tutto il mondo, ma dovrebbero anche aiutarli a scegliere i loro paesi di destinazione fornendo loro informazioni esaustive su ogni paese in cui un migrante desidera stabilirsi.


Un nuovo accordo delle Nazioni Unite, che quasi tutti i membri dell’organizzazione prevedono di firmare a dicembre, diffonde l’idea radicale che l’emigrazione – per qualunque motivo – debba essere incoraggiata, autorizzata e tutelata. Nella foto: Migranti si dirigono in un campo di transito, nel villaggio di Dobova, in Slovenia, il 26 ottobre 2015. (Foto di Jeff J Mitchell/Getty Images)

Le Nazioni Unite, in un accordo non vincolante che quasi tutti gli Stati membri dell’organizzazione firmeranno durante una cerimonia ufficiale che si terrà in Marocco all’inizio di dicembre, stanno facendo della migrazione un diritto dell’uomo. Il testo definitivo dell’accordo, il Global Compact (Patto globale) per una migrazione sicura, ordinata e regolare, sebbene non sia formalmente vincolante, “colloca fermamente la migrazione nell’agenda mondiale. Questo documento sarà un punto di riferimento per gli anni a venire e indurrà un cambiamento reale sul terreno…”, secondo Jürg Lauber, rappresentante della Svizzera presso le Nazioni Unite, che ha diretto i lavori con il suo omologo del Messico.

Un paradosso immediato di questa dichiarazione, ovviamente, è che sono pochi i paesi che hanno requisiti di accesso restrittivi come quelli esistenti in Svizzera. Se si desidera rimanere più di tre mesi in questo paese, non solo occorre richiedere un “permesso di soggiorno”, ma “nel tentativo di limitare l’immigrazione dai paesi non membri dell’Unione europea/e dell’EFTA (l’Associazione europea di libero scambio, N.d.T.), le autorità svizzere impongono rigorose limitazioni annuali sul numero dei permessi di soggiorno e di lavoro concessi agli stranieri”.

Questi permessi di soggiorno difficili da ottenere sono anche diventati una fonte di reddito, in quanto i “ricchi stranieri ‘comprano’ il diritto di risiedere in Svizzera”. L’accordo delle Nazioni Unite, al contrario, osserva che: “I rifugiati e i migranti hanno diritto a vedersi riconosciuti gli stessi diritti universali dell’uomo e le stesse libertà fondamentali, che devono essere rispettati, tutelati e garantiti in ogni momento”. (Preambolo, sezione 4)

È evidente che questo accordo non riguarda i rifugiati in fuga dalle persecuzioni né i loro diritti alla protezione in virtù del diritto internazionale. Piuttosto, l’accordo diffonde l’idea radicale che la migrazione – per qualunque motivo – debba essere incoraggiata, autorizzata e tutelata. Quasi tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, ad eccezione di Stati Uniti, Austria, Australia, Croazia, Ungheria e forse anche Polonia e Repubblica ceca, dovrebbero firmarlo. L’ONU nega che la migrazione sia stata trasformata in un diritto umano. “Chiedersi se questo sia un modo spiacevole per iniziare a promuovere un ‘diritto umano alla migrazione’ non è corretto. La questione non è contemplata nel testo; non c’è alcun progetto sinistro di questo tipo”, ha affermato di recente Louise Arbour, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per le migrazioni internazionali.

L’ONU non ha alcun interesse ad ammettere che l’accordo promuove la migrazione, in quanto diritto umano; fino a qualche tempo fa, c’era ben poco da discutere a riguardo. Un maggiore dibattito avrebbe potuto compromettere l’intero progetto. Il testo dell’accordo, come documentato qui di seguito, lascia tuttavia pochi dubbi sul fatto che con la firma dell’accordo, la migrazione diventerà effettivamente un diritto dell’uomo. L’accordo consta di 23 obiettivi che impegnano i firmatari. L’obiettivo numero tre, ad esempio, consiste nel promuovere e facilitare la migrazione attraverso una serie di misure. Gli Stati firmatari si impegnano a: Lanciare e pubblicizzare un sito web nazionale accessibile a tutti per rendere disponibili le informazioni sulle opzioni di una migrazione regolare, come le leggi e le politiche in materia di immigrazione proprie di ciascun paese, i requisiti in materia di visti, le formalità di candidatura, le imposte vigenti e i tassi di cambio, i requisiti per ottenere i permessi di lavoro, i requisiti in materia di qualifiche professionali, le valutazioni delle credenziali e le equipollenze, le opportunità di formazione e di studio, i costi e le condizioni di vita, per aiutare i migranti nel loro processo decisionale”.

Gli Stati, in altre parole, non dovrebbero soltanto aprire le loro frontiere ai migranti di tutto il mondo, ma dovrebbero anche aiutarli a scegliere i loro paesi di destinazione fornendo loro informazioni esaustive su ogni paese in cui un migrante desidera stabilirsi. Anche il livello di servizio previsto per facilitare una maggiore migrazione è elevato. I paesi sono invitati a: “Creare punti di informazione aperti e accessibili lungo le principali rotte migratorie per fornire ai migranti sostegno e consulenza di genere e ai minori, offrire opportunità di comunicare con i rappresentanti consolari dei paesi d’origine e rendere disponibili rilevanti informazioni, anche sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, protezione e assistenza adeguate, opzioni e informazioni sui canali di migrazione regolare e sulle possibilità di ritorno nei paesi d’origine, in una lingua che l’interessato comprenda”.

Una volta che i migranti giungono alla destinazione scelta, i paesi firmatari si impegnano a: “Fornire ai migranti appena arrivati informazioni mirate, attente alle questioni di genere e alle esigenze dei minori, esaustive e accessibili, nonché consulenza giuridica sui loro diritti e obblighi, incluso il rispetto delle leggi locali e nazionali, su come ottenere il rilascio di permessi di lavoro e di soggiorno, sulle modalità di aggiustamento di status, di registrazione presso le autorità, di accesso alla giustizia per denunciare le violazioni dei diritti e di accesso ai servizi di base”.

I migranti sono chiaramente i cittadini di un nuovo mondo, in cui tutti i paesi devono prestare assistenza a chiunque abbia scelto di viaggiare e di vivere lì per qualsiasi motivo. Le frontiere possono esistere in teoria, ma le Nazioni Unite – dove sono rappresentati quasi tutti i paesi del mondo – stanno lavorando sodo per farle sparire nella pratica. I migranti, secondo l’accordo, devono anche essere “autorizzati a realizzare la piena integrazione e la coesione sociale” nei loro nuovi paesi (obiettivo 16). Ciò significa, fra le altre cose, che i paesi devono: “Promuovere il rispetto reciproco [?] delle culture, delle tradizioni e dei costumi delle comunità di destinazione e dei migranti con lo scambio e l’attuazione delle migliori pratiche sulle politiche, i programmi e le attività in materia di integrazione, inclusi i modi per promuovere l’accettazione della diversità e agevolare la coesione e l’integrazione sociale”.

Tutte le culture sono uguali e devono essere rispettate allo stesso modo. Presumibilmente, questo significa che, ad esempio, le mutilazioni genitali femminili (MGF), pratica a cui vengono sottoposte quasi tutte le donne somale, sono una tradizione che deve essere “rispettata” a Londra e Parigi come lo è a Mogadiscio.

L’accordo specifica poi il lavoro che gli Stati devono avviare per accogliere i migranti. Dovrebbero essere messi a punto “gli obiettivi di politica nazionale relativi all’integrazione dei migranti nelle società d’accoglienza, come l’integrazione nel mercato del lavoro, il ricongiungimento familiare, l’istruzione, la non discriminazione e la salute”. Inoltre, il paese ospite dovrebbe facilitare “l’accesso a un’occupazione dignitosa e a un impiego per il quale sono più qualificati, conformemente all’offerta e al fabbisogno del mercato del lavoro locale e nazionale”.

In altre parole, i migranti appena arrivati, ad esempio in Europa, dovrebbero godere degli stessi diritti – o quasi – all’istruzione, al mercato del lavoro e all’assistenza sanitaria, riconosciuti agli europei che hanno lavorato sodo e pagato le tasse per mezzo secolo per ottenere l’accesso a quelle stesse cose. Ovviamente, tutto questo sarà finanziato con il denaro dei contribuenti europei.

Ovviamente, gli autori dell’accordo non si aspettano che il Global Compact sarà preso particolarmente bene dalle popolazioni. Un accordo per facilitare una migrazione di massa da tutto il pianeta, diretta soprattutto verso i paesi occidentali (non si può parlate di alcuna migrazione nella direzione opposta), potrebbe rivelarsi un po’ eccessivo per gli occidentali. Il Patto globale quindi indica con chiarezza che nessun disaccordo sarà tollerato e che gli Stati firmatari lavoreranno per contrastare “narrazioni fuorvianti che generano percezioni negative dei migranti”.

Perché questo obiettivo diventi realtà, gli Stati firmatari si impegnano innanzitutto a: “Promuovere un’informazione indipendente, obiettiva e di qualità nei media e su Internet, ma anche sensibilizzare e informare i professionisti dei media in materia di migrazione e sulla terminologia appropriata da utilizzare, mettendo a punto norme etiche da osservare nell’ambito della comunicazione mediatica e della pubblicità, e interrompendo l’assegnazione di fondi pubblici o di aiuti materiali ai media che promuovono sistematicamente l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e altre forme di discriminazione nei confronti dei migranti, nel pieno rispetto della libertà dei media”. (Obiettivo 17)

E qui sembra sentire parlare Orwell sotto steroidi. Quasi tutti i paesi membri dell’ONU firmeranno un accordo secondo il quale i media che sono contrari alle politiche di governo non potranno beneficiare dei finanziamenti pubblici? Oltre a ciò l’accordo afferma, in modo bizzarro, che questo obiettivo è stato fissato “nel pieno rispetto della libertà dei media” [?], poco importa che sia credibile o meno.

In secondo luogo, gli Stati firmatari si impegnano a: “eliminare ogni forma di discriminazione, condannare e contrastare espressioni, atti e manifestazioni di razzismo, discriminazione razziale, violenza, xenofobia e relativa intolleranza nei confronti di tutti i migranti conformemente alla legislazione internazionale in materia di diritti umani”. (Obiettivo 17) Opportunamente, l’accordo non offre definizioni di ciò che in questo contesto costituisce “razzismo” o “xenophobia”. Ad esempio, che cosa si intende per “relativa intolleranza”? Criticare le politiche migratorie delle Nazioni Unite, ad esempio, è “intolleranza”?

In principio, tutti i paesi membri dell’ONU, meno gli Stati Uniti, avevano approvato il testo definitivo dell’accordo e sembravano disposti a firmarlo a dicembre. Di recente, tuttavia, più Stati hanno annunciato che non aderiranno al Global Compact. A luglio, l’Ungheria si è tirata fuori dall’accordo. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha definito il testo “interamente contrario agli interessi di sicurezza dell’Ungheria”. E ha aggiunto: Questo patto rappresenta una minaccia per il mondo perché potrebbe indurre milioni di persone a migrare. Parte dal principio che la migrazione è un fenomeno positivo e inevitabile. Noi consideriamo la migrazione come un processo negativo che può comportare gravissime conseguenze in termini di sicurezza”.

A luglio, anche l’Australia ha annunciato il suo ritiro dall’accordo, almeno nella sua forma attuale. Secondo il ministro dell’Interno Peter Dutton: “Non firmeremo un accordo che sacrifica ogni cosa nella nostra politica di protezione delle frontiere. (…) Non rinunceremo alla nostra sovranità – non permetterò a organismi non eletti di imporre la loro decisione al popolo australiano”.

A novembre, anche la Polonia e la Repubblica ceca hanno annunciato che erano molto propense a tirarsi fuori dall’accordo e il presidente croato Kolinda Grabar-Kitarovic ha dichiarato che non avrebbe firmato il Global Compact. E il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha affermato: “I nostri principi sovrani in materia di sicurezza delle frontiere e di controllo dei flussi migratori sono per noi una priorità assoluta”. Anche questo mese l’Austria si è detta contraria alla firma dell’accordo. “Valutiamo molto criticamente alcuni punti del patto del patto migratorio, come ad esempio la commistione fra la ricerca di protezione e la migrazione di manodopera”, ha dichiarato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz.

L’Unione europea ha immediatamente biasimato la decisione dell’Austria. “Ci rammarichiamo per la decisione presa dal governo austriaco. Continuiamo a credere che la migrazione sia una sfida globale che può essere risolta solo attraverso soluzioni globali e responsabilità mondiali condivise”, ha dichiarato un portavoce della Commissione europea. Per inciso, questa è la stessa Unione europea che dovrebbe “frenare” i flussi migratori. Se si vuole “porre un freno” alla migrazione perché firmare accordi che la facilitano e la rendono una realtà in crescita esponenziale trasformandola in un diritto umano?

Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.