#Spain: Il reclutamento #ISIS nelle carceri//ISIS Recruiting in Prisons


Foto: www.savemysweden.com Dal Gatestone Institute, riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Soeren Kern, Pezzo originale in lingua inglese, Spain: Islamic State Recruiting in Prisons, Traduzioni di Angelita La Spada, adattamenti a cura della Redazione.

  • Il gruppo – che il Ministero dell’Interno spagnolo ha definito come un “Fronte della carceri” (“frente de cárceles“) jihadista – era dedito al reclutamento, all’indottrinamento e alla radicalizzazione degli altri detenuti, nonché alla pianificazione di nuovi attacchi jihadisti.
  • “Vogliamo prepararci al jihad per Allah. Ho una buona notizia: ho creato un nuovo gruppo, siamo disposti a morire per Allah in qualsiasi momento. Aspettiamo di uscire di prigione per poter iniziare a lavorare. Abbiamo uomini, armi e obiettivi. Ci serve solo la pratica.” – Mohamed Achraf, in una lettera scritta dal carcere a un altro detenuto.
  • “La maggior parte delle persone che sono indagate, lungi dall’essere radicalizzate, non solo hanno continuato a impegnarsi nella militanza jihadista, ma sono diventate ancor più radicali durante la loro reclusione in carcere.” – Il Ministero dell’Interno spagnolo.

Il 1° ottobre, la polizia spagnola antiterrorismo ha perquisito la cella di Mohamed Achraf, nel penitenziario di Campos del Río, nella [comunità autonoma della] Murcia, e ha scoperto che stava gestendo una rete “controllata e organizzata” di detenuti jihadisti dediti a reclutare e radicalizzare altri detenuti, nonché a pianificare attacchi contro obiettivi specifici. (Fonte dell’immagine: Ministero dell’Interno spagnolo)

La polizia spagnola ha smantellato una rete jihadista operante all’interno di più di una dozzina di carceri spagnole. La rete, presumibilmente collegata allo Stato islamico, è stata creata e gestita in seno al sistema giudiziario del paese da uno dei più irriducibili jihadisti, a quanto pare sotto il naso delle autorità penitenziarie. L’esistenza della rete ha messo in discussione non solo l’efficacia delle procedure di sicurezza nelle carceri spagnole, ma anche i programmi di “deradicalizzazione” spagnoli che mirano a “riabilitare” i militanti islamici per un eventuale “reinserimento” nella società.

Il gruppo era costituito principalmente da 25 jihadisti reclusi in 17 prigioni differenti (che rappresentano oltre la metà delle 30 carceri spagnole predisposte a ospitare detenuti jihadisti), secondo il Ministero dell’Interno, che ha fornito i dettagli sull’operazione antiterrorismo del 2 ottobre. Il gruppo – che il Ministero dell’Interno spagnolo ha definito come un “Fronte della carceri” (“frente de cárceles“) jihadista – era dedito al reclutamento, all’indottrinamento e alla radicalizzazione degli altri detenuti, nonché alla pianificazione di nuovi attacchi jihadisti.

Fra i membri della rete figuravano jihadisti condannati per terrorismo e detenuti comuni che sono stati radicalizzati in carcere. Fra loro c’erano molti cittadini spagnoli convertiti all’Islam. Alcuni membri avevano quasi scontato la loro pena e stavano per tornare in libertà. Il leader del gruppo, Mohamed Achraf, un marocchino di 44 anni, il cui vero nome è Abderramane Tahiri, stava scontando una condanna a 14 anni di prigione per aver pianificato degli attentati con camion contro obiettivi di alto profilo a Madrid, come la Corte Suprema spagnola e la stazione ferroviaria di Príncipe Pío.

Achraf sarebbe dovuto uscire di prigione il 14 ottobre 2018 – quasi quattro anni prima. È stato incarcerato nel 2008 e ha scontato la maggior parte della sua pena detentiva, trasferito da un carcere all’altro, secondo un protocollo standard volto a impedire agli islamisti di mettere radici in ogni struttura penitenziaria e di radicalizzare gli altri detenuti. Nel febbraio di quest’anno, Achraf è stato trasferito nel penitenziario di Campos del Río, nella [comunità autonoma della] Murcia, dove è stato tenuto in isolamento.

Il 1° ottobre, la polizia antiterrorismo ha perquisito la cella di Mohamed Achraf e ha scoperto che l’uomo stava gestendo una rete “controllata e organizzata” di detenuti jihadisti dediti a reclutare e radicalizzare altri detenuti, nonché a pianificare attacchi contro obiettivi specifici. Il Ministero dell’Interno ha spiegato che la rete svolgeva le sue attività attraverso l’interazione fisica tra detenuti reclusi all’interno delle stesse prigioni e mediante “relazioni epistolari” fra detenuti reclusi in carceri differenti. La rete eludeva i meccanismi di monitoraggio servendosi di detenuti che non erano sottoposti a sorveglianza speciale. Il quotidiano della Murcia La Verdad, citando fonti della polizia, ha riportato che Achraf sarà probabilmente processato per nuovi reati di terrorismo e anziché essere rilasciato in anticipo sarà sottoposto a custodia cautelare.

L’uomo ha una lunga storia di militanza jihadista in Spagna. Mentre stava scontando una precedente condanna tra il 1999 e il 2002 nel penitenziario di Topas a Salamanca, Achraf organizzò una rete jihadista simile – chiamata “Martiri del Marocco” – che operava all’interno di almeno cinque carceri spagnole. La rete era composta da quattro cellule che, secondo i magistrati, erano “perfettamente strutturate e connesse fra loro”. Dopo gli attentati terroristici alla rete ferroviaria di Madrid del 2004, in cui 193 persone persero la vita e altre 2mila rimasero ferite, le autorità spagnole presero una serie di misure drastiche contro i fondamentalisti islamici. Un’operazione antiterrorismo – denominata Operación Nova – condusse all’arresto di 36 jihadisti, fra cui diversi membri della rete di Achraf.

Gli investigatori rinvennero dei fogli dai quali emerse che Achraf stava pianificando un attentato dinamitardo contro l’Audiencia Nacional, la corte suprema di Madrid dove le autorità giudiziarie stavano indagando sugli attentati ferroviaria di Madrid. Inoltre, gli investigatori trovarono un carteggio fra Achraf e altri jihadisti, tra cui una lettera in cui si affermava: “I musulmani hanno due posti in cui andare: la prigione o il jihad”. In un’altra missiva c’era scritto: “Vogliamo prepararci al jihad per Allah. Ho una buona notizia: ho creato un nuovo gruppo, siamo disposti a morire per Allah in qualsiasi momento. Aspettiamo di uscire di prigione per poter iniziare a lavorare. Abbiamo uomini, armi e obiettivi. Ci serve solo la pratica”.

Nell’aprile 2005, Achraf fu estradato in Spagna dalla Svizzera, dove era fuggito dopo essere uscito dal carcere, e dove aveva cercato invano asilo dichiarando di essere palestinese. Nel febbraio 2008, Achraf fu condannato a 14 anni di prigione perché accusato di “promuovere e dirigere un gruppo terroristico”. Durante il processo, la Corte apprese che Achraf, il quale si faceva chiamare “Emiro”, usava una moschea di fortuna approntata in una palestra del carcere per “indottrinare” gli altri detenuti alla intransigente ideologia salafita-takfirita jihadista promossa dallo Stato islamico. Data la storia di jihadismo salafita di Achraf e i suoi precedenti tentativi di fare proselitismo e di indottrinare i detenuti durante il suo primo periodo di detenzione, non è ancora chiaro il motivo per cui le autorità spagnole gli abbiano consentito di creare un’altra rete jihadista ancora più vasta, durante la sua seconda permanenza in carcere.

Il quotidiano La Verdad ha riportato la notizia che la rete di Achraf “era molto organizzata (…) e aveva già obiettivi specifici” e “aveva minacciato alcuni funzionari penitenziari, anche di grado superiore”. Il gruppo aveva “la propria iconografia e i propri slogan” ed “era perfettamente strutturato, con precisi ordini di azione nei cortili della prigione e nei metodi di addestramento”. Questa rete jihadista potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Una recente analisi dei dati ufficiali del penitenziario redatta dalla pubblicazione online El Independiente ha rilevato che più di 150 detenuti stanno scontando la loro pena in 28 prigioni spagnole per reati legati al jihad.

Quasi la metà (72) di questi detenuti sono marocchini, seguiti dagli spagnoli (57). Altri provengono da Algeria, Argentina, Bangladesh, Belgio, Brasile, Bulgara, Danimarca, Egitto, Francia, Messico, Paesi Bassi, Pakistan, Portogallo, Arabia Saudita e Turchia. Il crimine più frequente fra questo tipo di detenuti è l’appartenenza a un gruppo terroristico, seguito da reclutamento, indottrinamento e addestramento al terrorismo e appoggio a un gruppo armato.

Inoltre, altri 120 detenuti in carcere per reati non legati al jihad sono monitorati per segnali di “fanatismo islamista”, secondo il quotidiano El País, citando fonti del Ministero dell’Interno. La rete di Achraf ha anche messo in luce l’efficacia, o meno, dei programmi di deradicalizzazione spagnoli per i detenuti jihadisti. Ai sensi della protezione dei diritti umani garantita dalla Costituzione spagnola, tali programmi possono essere applicati solo su base volontaria.

Dei circa 270 detenuti monitorati per le tendenze jihadiste, solo 20 partecipano ai programmi di deradicalizzazione, stando all’agenzia di stampa spagnola EFE. Il Ministero dell’Interno ha ammesso: “La maggior parte delle persone che sono indagate, lungi dall’essere radicalizzate, non solo hanno continuato a impegnarsi nella militanza jihadista, ma sono diventate ancor più radicali durante la loro reclusione in carcere”.

Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.