I legami tra Ponte di Genova, Benetton, Indios, proletari sfruttati e bombe di Treviso


La mirabile sintesi della vignetta di Danilo Santini

La matassa è intricata, ma cercheremo di sbrogliarla individuandone il bandolo. Nella terza notte di ricerche a Genova, all’appello mancano ancora una decina di dispersi. I soccorritori continuano a scavare, anche se il tempo tiranno lascia poche speranze di trovare altri superstiti, ma i soccorritori non abbandonano le speranze. Finora, il bilancio è di 38 i morti certi e 15 feriti, 9 dei quali gravissimi. Nel corso di un vertice in Procura, il funzionario capo Francesco Cozzi ha dichiarato: “Noi acquisiremo tutto quello che è necessario e indispensabile. Di fronte a una tragedia del genere non voglio sentir parlare di limiti di spesa o di norma , intanto anche Parigi ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo plurimo.

Sotto il rudere del ponte Morandi di Genova, si scava ininterrottamente giorno e notte e i vigili del fuoco lavorano con escavatrici e potenti trance e perforatrici pneumatiche, per aprire varchi tra le macerie di cemento armato. Le ricerche sono attualmente concentrate attorno al basamento del pilone crollato, presso l’argine sinistro del Polcevera e lungo il tratto di ponte lungo una ventina metri, precipitato sulla ferrovia. È in questi punti che secondo i Vigili del Fuoco dovrebbero trovarsi i dispersi che mancano all’appello. Intanto i mezzi pesanti lavorano nel greto del Polcevera, per rimuovere le macerie prima che arrivi la pioggia e si verifichi un’inondazione.

Sul fronte governativo, va sottolineato che l’intero esecutivo ha trascorso le giornate del ferragosto tra le macerie. Il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, volendo individuare i responsabili tra i dirigenti, immaginando responsabilità dello stato, ha scoperto che: ‘La manutenzione era priorità della Società Atlantia S.p.A. azienda privata costituita nel 2002, che opera nel settore delle infrastrutture autostradali e aeroportuali e che gestisce 5.000 chilometri di autostrade a pedaggio in Italia, il cui principale azionista è la famiglia Benetton‘.

Oltre a questa informazione, il ministro Toninelli ha anche scoperto che, sorprendentemente, i termini del contratto tra l’allora governo e Atlantia, erano protetti da segreto di stato. A quel punto lo sdegno ha attraversato tutto l’esecutivo Giallo-Verde. Il più intransigente è stato il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che intervistato  da Radio Radicale ha detto: “I responsabili hanno un nome e un cognome e sono Autostrade per l’Italia [cioè Società Atlantia S.p.A – NDA], dopo anni che si è detto che le cose, dai privati sarebbero state gestite molto meglio, ci troviamo con uno dei più grandi concessionari europei che ci dice che quel ponte era in sicurezza. Queste sono scuse. Autostrade [doveva] fare la manutenzione e non l’ha fatta. Prima di tutto si dimettano i vertici.

E’ possibile, in caso di inadempienze, ritirare la concessione e far pagare multe fino a 150 milioni di euro, Autostrade non ha fatto la manutenzione. Toninelli ha avviato le procedure, può gestire lo Stato. Ad Autostrade paghiamo i pedaggi più alti d’Europa e loro pagano tasse bassissime perché sono posseduti da una finanziaria Benetton in Lussemburgo. Il crollo del ponte Morandi si poteva evitare: le condizioni visibili a tutti, non a un ingegnere, lasciano capire che la manutenzione non è stata fatta e per questo il ponte è crollato. Non è crollato per una fatalità ma perché non si è fatta manutenzione”.

In sintesi, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato: “voglio i nomi dei responsabili”, quello delle infrastrutture Toninelli ha parlato di un: “esempio di carenze nella manutenzione” il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiesto un: “esame serio sulle cause”, infine il premier Giuseppe Conte ha annunciato: “revocheremo la concessione ad Autostrade”.

Ebbene, il clan Benetton che nei primi momenti successivi al crollo del ponte era rimasta in silenzio, appreso che si profilava la revoca della concessione a società Autostrade è uscito dal silenzio ricordando che la concessione scade nel 2042. Ancora dagli ambienti Benetton si è precisato che in base alla convenzione firmata durante il secondo governo Prodi nel 2007, in caso di cessazione lo stato dovrà versare al concessionario 20 miliardi di euro. Parole che entrano in conflitto con la reputazione buonista di cui gode in Italia questa famiglia.

Mentre il governo Conte cerca di trovare la quadra per rescindere il contratto capestro e causa di “grave inadempienza rispetto agli obblighi, come il mantenimento della funzionalità delle infrastrutture date in concessione attraverso tempestiva manutenzione e riparazione delle stesse”, il più moderato pare il ministro Salvini che, paventando le solite lungaggini all’italiana tra commissioni d’inchiesta  con rimborso record finale alla famiglia Benetton, ha fatto richieste più concrete nell’immediato. Ha dichiarato che: “…al di la dei morti c’è un danno economico e sociale inimmaginabile. Occorre intervenire subito e con urgenza”, ha poi chiesto ai Benetton di non far pagare il pedaggio sui percorsi alternativi: una richiesta accolta con freddezza dal clan.

Quando in Italia si parla di imprenditori, il termine “intrapresa” va usato con cautela. Gli imprenditori nostrani, parlando di grande impresa, sono in realtà datori di lavoro speculativi. A iniziare dagli Agnelli costati 200 miliardi di euro allo stato, proseguendo con i De Benedetti, Berlusconi, Marcegaglia e altri clan famigliari, l’impresa italiana è privata quand’è in attivo e parastatale quando è in perdita.

Un termine che per anni è stato usato nei confronti di Silvio Berlusconi, lungi da noi l’idea di giustificarlo o simpatizzare per esso, è “mafioso”, ora, se l’imprenditore televisivo è tale, chi ha gestito, spesso male, Raffinerie, Industria Elettronica, Acciaierie o per l’appunto Autostrade, cos’è?

Perché i Benetton sono intoccabili.

Questo clan nei decenni non s’è limitato a produrre indumenti o gestire autostrade e infrastrutture in tutto il mondo, ma rappresenta la principale fucina italiana dell’ideologia neoliberista e globalista. I Benetton sponsorizzano e mutuano al proprio messaggio pubblicitario una neo-lingua, un ignòbile alfabeto fatto di parole storpiate atte a mutare il significato originario delle stesse e che ha annientato la sinistra italiana trasmutandola in una cloaca neoliberista asservita a capitalismo e padronato.

I loro enormi profitti si celano dietro a messaggi antirazzisti, gender, no-border, infarciti di pseudo progressismo. Queste sordide réclame, vengono da sempre affidate a Oliviero Toscani, un personaggio odiato dai suoi stessi figli, del quale hanno denunciato maltrattamenti e indifferenza. Questo individuo, che odia soprattutto la Lega e i cittadini Veneti, in occasione della tragedia del Ponte di Genova ha cercato d’incolpare velatamente il leader leghista dichiarando di essere dispiaciuto per il crollo del Ponte Morandi, ma anche “per tutte le bugie che la gente racconta” e che secondo lui il popolo italiano è “frustrato”, “infelice” e “incattivito”.

Ma la questione del perché si parla sempre e solo bene dei Benetton, probabilmente ci cela dietro al fatto che con Edizione srl, società controllata dai Benetton, il clan detiene il 5,1% di Rcs MediaGroup (Corriere della Sera), il 2,24% di Caltagirone Editore (il Messaggero, il Gazzettino, il Mattino, Leggo) e il 2,00% de Il Sole 24 Ore SpA. Non vanno tralasciate le lenzuolate pubblicitarie che paga ai giornali e che non lasciano certamente indifferenti un’editoria in crisi come quella italiana, oltre ai finanziamenti al Partito Democratico, denunciati pubblicamente da Luigi di Maio.

Lo strano clan ecologico, progressista e di pseudo sinistra

In Italia, sappiamo che qualche decennio or sono, i Benetton acquistarono dal governo argentino un territorio pari a un milione di ettari in Patagonia. Quell’operazione venne presentata ai media come la messa a redditto di un’area “disabitata”, nella quale il clan avrebbe allevato sterminate greggi di pecore da lana.  Quello che i Benetton e i media non ci raccontano, è che quella regione, non era proprio disabitata, ma era stata sottratta a popolazioni come i Mapuche, la cui rivolta venne soffocata nel sangue.

Patagonia, la lotta degli indios Mapuche contro i Benetton

Il clan Benetton è inoltre implicato nello sfruttamento dell’Amazzonia, ma anche in quello di lavoratori, inclusi donne e bambini, con salari da fame in industrie fatiscenti senza la minima sicurezza, come abbiamo visto a Dacca, in Bangladesh. In quei paesi come nel nostro, morire da proletari sfruttati non è raro, in incidenti dai quali i brand italiani e occidentali escono impuniti. La catena produttiva prevede la presenza di una Buying House, ufficio commerciale che fa incontrare la domanda con l’offerta, dietro pagamento di una provvigione.

Queste piccole aziende di mediazione, spesso gestite da stranieri semi ignari del completo ciclo produttivo, acquisiscono l’ordine e lo girano a industrie locali, che forniscono struttura e lavoratori. In tal modo, quando avviene un incidente sul lavoro, la legge colpisce i proprietari delle aziende locali e i titolari della Buying House, ma non i proprietari del marchio che sfruttano i lavoratori nel terzo mondo.

La grande capacità del clan Benetton, è quella di utilizzare pubblicità per vendere maglioni, cioè l’obbiettivo principale, millantandola come campagna in difesa dell’ambiente, degli oppressi e dei proletari del terzo mondo, che poi vengono in Italia su barconi fatiscenti e annegano, ovviamente per colpa di Salvini.
Ma le facce degli indios Mapuche, dei lavoratori sfruttati del Bangladesh, dei pensionati che frugano tra i rifiuti in cerca di cibo e degli homeless italiani, non le vedremo mai sui loro cartelloni pubblicitari. Allo stesso modo, su quei cartelloni non vedremo i volti delle vittime della malagestione del Ponte Morandi, così come non vedremo cappellini e magliette rosse marca Benetton promosse da Toscani per le vittime di Genova.

Treviso, l’attentato alla sede storica della Lega

Mentre i membri dell’esecutivo si trovavano con le scarpe nella polvere ad accertarsi che tutte le procedure di soccorso funzionassero, successivamente alle esternazioni contro il clan da parte del vice premier Luigi Di Maio, qualcosa di grave è avvenuto nella Treviso dei Benetton. Mentre il vice premier accusava i Benetton d’incuria nella manutenzione, da parte di Autostrade per l’Italia-Atlantia S.p.A e di finanziare il Partito Democratico, cui ha risposto indignato l’ex premier Renzi, si verificava un attentato presso la sede della Lega.

Per nostra natura, siamo poco o nulla propensi ai complottismi, ma se vediamo tangibilmente il concatenarsi duna serie di eventi collegati tra loro, qualche dubbio ce lo concediamo. Il metodo stesso dell’attentato è nel contempo vigliacco e scellerato. In pratica un ordigno è stato fatto esplodere presso la sede storica del Carroccio, ma successivamente, gli artificieri hanno rinvenuto una seconda bomba fortunatamente inesplosa.

Stando alle ricostruzioni degli agenti, il primo ordigno sarebbe stato una trappola per attirare militanti e simpatizzanti nella sede, ma il secondo, una pentola a pressione riempita di chiodi, sarebbe dovuto scattare tramite un cavetto semi invisibile piazzato a rasoterra, massacrando gli ignari leghisti. Il fatto che la strage non si sia consumata, ci fa pensare più che a un attentato fallito, a un avvertimento di tipo mafioso diretto a Salvini.

L’alternativa a questa ipotesi, quella della Polizia, è che gli esecutori siano anarchisti-nichilisti, vicini quindi a quella galassia violenta pseudo progressista di pseudo compagni che sbagliano. In conclusione, nel ringraziare quanti pazientemente hanno voluto seguirci fino a qui, vorremo sottolineare che ai nostri tempi, nel PCI i violenti li allontanavamo a calci in culo (Pardòn) e il terrorismo lo condannavamo sempre, e contrariamente a certa pseudo sinistra neoliberista, non eravamo abituati a sperare che ci scappasse il morto.

Luciano Bonazzi

Fonti: oltre a quelle che trovate nell’articolo, www.ansa.it e www.ambito.com