#NoNato BREVE STORIA DELLA NATO 2/10 JUGOSLAVIA: LA GUERRA FONDANTE DELLA NUOVA NATO – VIDEO

Dal Comitato promotore della campagna #NOGUERRA #NONATO, pubblichiamo il seguente articolo sulla storia della NATO, gli adattamenti sono a cura della Redazione: In fondo troverete il link della petizione che vi invitiamo a firmare. foto @ajitvadakayil

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO Italia

29 APR 2019 – DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DAL COMITATO NO GUERRA NO NATO AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SUL 70° ANNIVERSARIO DELLA NATO,  FIRENZE, 7 APRILE 2O19

LA DOCUMENTAZIONE VIENE PUBBLICATA SU  QUESTA PAGINA IN 10 PUNTATE, CON CADENZA SETTIMANALE, CIASCUNA ACCOMPAGNATA DALLA CORRISPONDENTE SEZIONE DEL VIDEO “I 70 ANNI DELLA NATO: DI GUERRA IN GUERRA”.

2/10 JUGOSLAVIA: LA GUERRA FONDANTE DELLA NUOVA NATO

Nella seconda metà degli anni Ottanta il clima della guerra fredda comincia a cambiare. Il primo segnale di disgelo è il Trattato sulle forze nucleari intermedie (INF), firmato a Washington l’8 dicembre 1987 dai presidenti Reagan e Gorbaciov: in base ad esso gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si impegnano a eliminare tutti i missili di tale categoria, compresi i Pershing 2 e i Cruise schierati dagli USA in paesi europei della NATO e gli SS-20 schierati dall’URSS sul proprio territorio. Entro il maggio 1991 vengono eliminati, in totale, 2.692 missili di questa categoria.

Questo importante risultato è dovuto sostanzialmente  all’«offensiva del disarmo» lanciata dall’Unione Sovietica di Gorbaciov: il 15 gennaio 1986, essa propone non solo di eliminare i missili sovietici e statunitensi a gittata intermedia, ma di attuare un programma complessivo per la messa al bando delle armi nucleari entro il 2000. A Washington sanno che Gorbaciov vuole davvero la completa eliminazione di tali armi, ma sanno anche che nel Patto di Varsavia e nella stessa Unione Sovietica è in atto un processo di disgregazione, processo che gli Stati Uniti e i loro alleati favoriscono con tutti i mezzi possibili .

Dopo il crollo del Muro di Berlino nel novembre 1989, nel luglio 1991 si dissolve il Patto di Varsavia: i sei paesi dell’Europa centro-orientale che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’URSS. Nel dicembre 1991 si dissolve la stessa Unione Sovietica: al posto di un unico Stato se ne formano quindici. La scomparsa dell’URSS e del suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dell’URSS e la profonda crisi politica ed economica che investe la Federazione Russa segnano la fine della superpotenza in grado di rivaleggiare con quella statunitense.

Gli Stati Uniti approfittano immediatamente della «distensione» in Europa per concentrare le loro forze nell’area strategica del Golfo Persico dove, con un’abile manovra, preparano le condizioni per scatenare quello che il Pentagono definisce «il primo conflitto del dopo guerra fredda, un evento determinante nella leadership globale degli Stati Uniti». Il 17 gennaio 1991 viene lanciata contro l’Iraq «la più intensa campagna di bombardamento della storia»: in 43 giorni l’aviazione statunitense e alleata (tra cui quella italiana) sgancia, con 2.800 aerei, circa 250.000 bombe, comprese quelle a grappolo che rilasciano complessivamente oltre 10 milioni di sub-munizioni, mentre le cannoniere volanti, gli elicotteri e i carri armati sparano oltre un milione di proiettili a uranio impoverito. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di  soldati, lanciano l’offensiva terrestre che, dopo cento ore di carneficina, termina il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush.

La NATO, pur non partecipando in quanto tale alla guerra del Golfo, fornisce l’appoggio di tutta la sua infrastruttura alle forze della coalizione. Partecipano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi, mentre forze  britanniche e francesi affiancano quelle statunitensi nell’offensiva terrestre.

La nuova strategia viene ufficialmente enunciata, sei mesi dopo la fine della guerra del Golfo, nella National Security Strategy of the United States pubblicata dalla Casa Bianca nell’agosto 1991. Concetto centrale è che «gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali: non esiste alcun sostituto alla leadership americana. La nostra responsabilità, anche nella nuova era, è di importanza cardinale e ineludibile».

Un documento del Pentagono, redatto nel febbraio 1992, chiarisce che «il nostro obiettivo primario è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia nell’ordine di quella posta precedentemente dall’Unione Sovietica. La nuova strategia richiede che noi operiamo per impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale. Tale strategia sarà adottata in tutte le «regioni critiche per la sicurezza degli Stati Uniti, le quali comprendono l’Europa, l’Asia Orientale, il Medio Oriente, l’Asia Sud-Occidentale e il territorio dell’ex Unione  Sovietica. Abbiamo in gioco importanti interessi anche in America Latina, Oceania e Africa sub-sahariana».

«Una questione chiave – sottolinea la Casa Bianca nella National Security Strategy 1991 – è come il ruolo dell’America di leader dell’Alleanza, e in effetti le nostre stesse alleanze, saranno influenzati, specialmente in Europa, dalla riduzione della minaccia sovietica.  Le differenze tra gli alleati diverranno probabilmente più evidenti man mano che calerà la tradizionale preoccupazione per la sicurezza che li fece unire all’inizio». In altre parole: gli alleati europei potrebbero fare scelte divergenti da quelle degli Stati Uniti, mettendo in discussione la leadership statunitense o addirittura uscendo dalla NATO, ormai superata dalla nuova situazione geopolitica. È quindi della massima urgenza per gli Stati Uniti ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso della NATO.

Il 7 novembre 1991, i capi di stato e di governo dei sedici paesi della NATO, riuniti a Roma nel Consiglio atlantico, varano «Il nuovo concetto strategico dell’Alleanza». Anche se da un lato «è scomparsa la monolitica, massiccia minaccia che è stata la principale preoccupazione dell’Alleanza nei suoi primi quarant’anni, – afferma il documento – i rischi che permangono per la sicurezza dell’Alleanza sono di natura multiforme e multi-direzionali. La dimensione militare della nostra Alleanza resta perciò un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto  ampio di sicurezza». In tal modo l’Alleanza Atlantica ridefinisce il suo ruolo, fondamentalmente lungo le linee tracciate dagli USA.

Il «nuovo concetto strategico» della NATO viene messo in pratica nei Balcani, dove la crisi della Federazione Jugoslava, dovuta ai contrasti tra i gruppi di potere e alle spinte centrifughe delle repubbliche,  ha raggiunto il punto di rottura.

Nel novembre 1990, il Congresso degli Stati Uniti approva il finanziamento diretto di tutte le nuove formazioni «democratiche» della Jugoslavia, incoraggiando così le tendenze secessioniste. In dicembre, il parlamento della Repubblica Croata, controllato dal partito di Franjo Tudjman, emana una nuova Costituzione in base alla quale la Croazia è solo «patria dei croati» ed è sovrana sul suo territorio. Sei mesi dopo, nel giugno 1991, oltre alla Croazia,  anche la Slovenia proclama la propria indipendenza. Subito dopo, scoppiano scontri tra l’esercito federale e gli indipendentisti. In ottobre, in Croazia, il governo Tudjman espelle oltre 25 mila serbi. mentre sue milizie occupano Vukovar. L’esercito federale risponde, riprendendo la città. La guerra civile comincia a estendersi, ma potrebbe ancora essere fermata.

La via che viene imboccata è invece diametralmente opposta: la Germania, impegnata a estendere la sua influenza economica e politica nella regione balcanica, nel dicembre 1991 riconosce unilateralmente Croazia e Slovenia quali Stati indipendenti. Come conseguenza, il giorno dopo i serbi di Croazia proclamano a loro volta l’autodeterminazione, costituendo la Repubblica serba della Krajna. Nel gennaio 1992, prima il Vaticano e poi l’Europa dei dodici riconoscono, oltre alla Croazia, anche la Slovenia. A questo punto si incendia anche la Bosnia-Erzegovina che, in piccolo, rappresenta l’intera gamma dei nodi etnici e religiosi della Federazione Jugoslava.

I caschi blu dell’ONU, inviati in Bosnia come forza di interposizione tra le fazioni in lotta, vengono volutamente lasciati in numero insufficiente, senza mezzi adeguati e senza precise direttive, finendo col divenire ostaggi nel mezzo dei combattimenti. Tutto concorre a dimostrare il «fallimento dell’ONU» e la necessità che sia la NATO a prendere in mano la situazione. Nel luglio 1992 la NATO lancia la prima operazione di «risposta alla crisi», per imporre l’embargo alla Jugoslavia.

Nel febbraio 1994, aerei NATO abbattono aerei serbo-bosniaci che volano sulla Bosnia. È la prima azione di guerra dalla fondazione dell’Alleanza. Con essa la NATO viola l’art. 5 della sua stessa carta costitutiva, poiché l’azione bellica non è motivata dall’attacco a un membro dell’Alleanza ed è effettuata fuori dalla sua area geografica.

Spento l’incendio in Bosnia (dove il fuoco resta sotto la cenere della divisione in Stati etnici), la NATO getta benzina sul focolaio del Kosovo, dove è in corso da anni una rivendicazione di indipendenza da parte della maggioranza albanese. Attraverso canali sotterranei in gran parte gestiti dalla CIA, un fiume di armi e finanziamenti, tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999, va ad alimentare l’UCK (Esercito di liberazione del Kosovo), braccio armato del  movimento separatista kosovaro-albanese.

Agenti della CIA dichiareranno successivamente di essere entrati in Kosovo nel 1998 e 1999, in veste di osservatori dell’OSCE incaricati di verificare il «cessate il fuoco», fornendo all’UCK manuali statunitensi di addestramento militare e telefoni satellitari, così che i comandanti della guerriglia potessero stare in contatto con la NATO e Washington. L’UCK può così scatenare un’offensiva contro le truppe federali e i civili serbi, con centinaia di attentati e rapimenti.

Mentre gli scontri tra le forze jugoslave e quelle dell’UCK provocano vittime da ambo le parti, una potente campagna politico-mediatica prepara l’opinione pubblica internazionale all’intervento della NATO, presentato come l’unico modo per fermare la «pulizia etnica» serba in Kosovo. Bersaglio prioritario è il presidente della Jugoslavia, Slobodan Milosevic, accusato di «pulizia etnica».

La guerra, denominata «Operazione Forza Alleata», inizia il 24 marzo 1999. Determinante è il ruolo dell’Italia: il governo D’Alema mette il territorio italiano, in particolare gli aeroporti, a completa disposizione delle forze armate degli Stati Uniti e di altri paesi, per attuare quello che il presidente del consiglio definisce «il diritto d’ingerenza umanitaria».

Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Il 75 per cento degli aerei e il 90 per cento delle bombe e dei missili vengono forniti dagli Stati Uniti. Statunitense è anche la rete di comunicazione, comando, controllo e intelligence attraverso cui vengono condotte le operazioni: «Dei 2000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei della NATO – documenta successivamente il Pentagono – 1999 sono stati scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei».

Sistematicamente, i bombardamenti smantellano le strutture e infrastrutture della Serbia, provocando vittime soprattutto tra i civili. I danni che ne derivano per la salute e l’ambiente sono inquantificabili. Solo dalla raffineria di Pancevo fuoriescono, a causa dei bombardamenti, migliaia di tonnellate di sostanze chimiche altamente tossiche (compresi diossina e mercurio). Altri danni vengono provocati dal massiccio impiego da parte della NATO, in Serbia e Kosovo, di proiettili a uranio impoverito, già usati nella guerra del Golfo.

Ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che attaccano gli obiettivi indicati dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli USA. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara con orgoglio il presidente del consiglio D’Alema durante la visita compiuta il 10 giugno 1999 alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti che vi hanno partecipato, è stata «una grande esperienza umana e professionale».

Il 10 giugno 1999 le truppe della Federazione Jugoslava cominciano a ritirarsi dal Kosovo e la NATO mette fine ai bombardamenti. La risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dispone che la presenza internazionale deve avere una «sostanziale partecipazione della NATO». «Oggi la NATO affronta la sua nuova missione: quella di governare», commenta The Washington Post.

Finita la guerra, vengono inviati in Kosovo dagli Stati Uniti oltre 60 agenti dell’FBI, ma non vengono trovate tracce di eccidi tali da giustificare l’accusa, fatta ai serbi, di «pulizia etnica». Slobodan Milosevic, condannato a 40 anni di reclusione dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per l’ex Jugoslavia, muore dopo cinque anni di carcere. La stessa corte lo scagiona, nel 2016, dall’accusa di «pulizia etnica».

Il Kosovo, dove gli USA installano una grande base militare (Camp Bondsteel), diviene una sorta di protettorato della NATO. Contemporaneamente, sotto la copertura della «Forza di pace», l’ex UCK al potere terrorizza ed espelle oltre 250 mila serbi, rom, ebrei e albanesi bollati come collaborazionisti. Nel 2008, con l’autoproclamazione del Kosovo quale Stato indipendente, viene ultimata la demolizione della Federazione Jugoslava.

Mentre è in corso la guerra contro la Jugoslavia, viene convocato a Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice che ufficializza la trasformazione della NATO. Da alleanza che, in base all’articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in base al «nuovo concetto strategico», impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’Articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». In altre parole, la NATO si prepara a proiettare la propria forza militare al di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre regioni del mondo.

Ciò che non cambia, nella mutazione della NATO, è la gerarchia al suo interno. È sempre il Presidente degli Stati Uniti a nominare il Comandante Supremo Alleato in Europa, che è sempre un generale statunitense, mentre gli alleati si limitano a ratificare la scelta. Lo stesso avviene per gli altri comandi chiave.

Il documento che impegna i paesi membri a operare al di fuori del territorio dell’Alleanza, sottoscritto dai leader europei il 24 aprile 1999 a Washington, ribadisce che la NATO «sostiene pienamente lo sviluppo dell’identità europea della difesa, all’interno dell’Alleanza». Il concetto è chiaro: l’Europa Occidentale può avere una sua «identità della difesa», ma essa deve restare  all’interno dell’Alleanza, ossia sotto comando Usa.

Viene così confermata e consolidata la subordinazione dell’Unione Europea alla NATO. Subordinazione stabilita dal Trattato di Maastricht del 1992, che riconosce il diritto degli Stati UE di far parte della NATO, definita fondamento della difesa dell’Unione Europea.

L’Italia – partecipando alla guerra contro la Jugoslavia, paese che non aveva compiuto alcuna azione aggressiva né contro l’Italia né contro altri membri della NATO – conferma di aver adottato una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera. Questa, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’Articolo 11, che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

PROSSIMA PUNTATA: L’espansione della NATO ad Est verso la Russia / USA e NATO attaccano e invadono l’Afghanistan e l’Iraq

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