Molto presto a Joe Biden servirà una guerra

Nel 2016, la sorprendente vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton, rappresentò per Israele la perdita di un’amica preziosa in cambio di uno migliore. Queste fu, grosso modo, il messaggio diffuso dall’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) dopo l’elezione di Trump. L’AIPAC è una potente lobby ebraico-americana di sostegno allo Stato di Israele, molto influente a Washington. All’inizio del suo mandato, Donald Trump fu appoggiato dall’AIPAC per via del riconoscimento di Gerusalemme capitale d’Israele e per il fatto che la figlia prediletta Ivanka, dopo il matrimonio con l’ebreo americano Jared Kushner, si era convertita all’ebraismo. Nella seconda fase del suo mandato, ciò che rese impopolare Trump agli occhi di AIPAC, Forze Armate e Industria Bellica, furono decisioni pacifiste come il ridimensionamento della presenza militare statunitense in Medio Oriente, Libia e il dialogo con la Corea del Nord.

Al termine del suo mandato, a causa della crisi economica causata dalla Pandemia da Covid19 e della determinazione del Tycoon di non far guerre illudendosi di ottenere il Premio Nobel per la Pace, il suo futuro era già segnato. Con lobbies, oligarchi e parte del Partito Repubblicano contro, qualunque fosse il risultato elettorale Trump non poteva vincere. Lo stato profondo aveva disposto di farlo fuori a ogni costo, a costo di utilizzare massicci brogli organizzati e infine orchestrando l’assalto al Campidoglio: cacciandolo così dalla Casa Bianca col marchio dell’infamia cucito addosso.

Grazie alla fine del mandato di Donald Trump, con la controversa “vittoria” di Joe Biden, dopo il 21 gennaio, coloro che dominano realmente gli Stati Uniti potranno finalmente tornare alle tradizionali politiche imperialiste. Quasi certamente, in cambio della sua “vittoria”, Biden dovrà dichiarare una nuova guerra in Medio Oriente, probabilmente contro l’Iran, e mitigare le ostilità contro la Cina, per compiacere gli oligarchi della Silicon Valley e i nuovi miliardari statunitensi arricchitisi grazie alle delocalizzazioni nel paese asiatico.

Tra le speranze dell’establishment militare americano, sarebbe auspicabile che grazie a politiche distensive verso la Cina, nel caso che gli USA attaccassero la Russia, Pechino si sfili dall’alleanza con Mosca. Paesi dove potrebbe tornare la guerra, saranno la Siria e forse Iraq o Libia, ma a rischio potrebbe essere anche la Corea del Nord, poiché possiede il più grande giacimento di terre rare al mondo. Tuttavia, Pyongyang può stare relativamente tranquilla, grazie al fatto di possedere armi nucleari e di essere finora sostenuta da Cina e Russia. Altro discorso vale per l’Iran, la cui sicurezza dipende esclusivamente dal “se” nazioni amiche come Cina e Russia vorranno ingaggiare una guerra per difendere gli Ayatollah dagli USA.

Il fattore Israele

 

Attualmente, nell’area medio-orientale, militarmente parlando, sono presenti tre potenze regionali, Israele, la Turchia e l’Iran. Nonostante l’Iran come la Turchia abbiano una notevole forza militare convenzionale, il paese più forte è Israele, anche perché possiede testate nucleari. Finora Gerusalemme ha avuto un forte sostenitore nel Presidente Donald Trump: ma con l’avvento di Joe Biden cosa succederà?

Biden è stato vice presidente durante il mandato di Barack Hussein Obama. All’epoca i rapporti tra Washington e Tel Aviv si erano un po’ raffreddati, cioè proseguivano nella massima “formalità”. Probabilmente, le origini islamiche di Obama, il fatto che suo fratello Malik fosse un leader dei Fratelli Musulmani in un qualche modo pesava. In pratica, come presidente USA non poteva mettersi contro Israele, ma trattarli con un certo distacco sì. Questa comportamento non lasciò indifferente la comunità ebraica americana, che alle elezioni del 2016 scelse Trump, anche per via del genero ebreo-statunitense Jared Kushner.

A pochi giorni dal suo insediamento, da ambienti vicini al Pentagono, è giunta un’allusione al bisogno di una nuova guerra rivolta a Joe Biden. Queste voci, in sintesi sostengono che l’Iran abbia acquisito la dimensione di potenza regionale grazie alle politiche destabilizzanti degli Stati Uniti in Iraq. Dopo la caduta di Saddam Hussein per mano USA/NATO, il vuoto di potere nella regione, è stato colmato da un paese stabile come l’Iran. Con l’elezione di Hassan Rouhani a presidente dell’Iran, si è aperto un nuovo scenario che ha portato Teheran a sostenere nelle sedi internazionali il suo diritto inalienabile al nucleare. Nel caso che l’Iran divenisse una piccola potenza nucleare, i rapporti Israele-Iran si bilancerebbero, al punto che Teheran potrebbe riprendere il patto di cooperazione energetica del 2010 stipulato con Iraq e Siria per la costruzione del gasdotto South Pars, interrotto guarda un po’, con l’entrata in scena dello Stato Islamico e della guerra in Siria e Iraq.

Il sen. John McCain al fianco ai leader dello Stato Islamico: Mohamad Nur e Abu Bakr al Bagdadi. foto trabajadores.cu

Se questa infrastruttura venisse realizzata collegherebbe il Golfo Persico al Mar Mediterraneo, consentendo l’arrivo del Gas iraniano verso l’Unione Europea, entrando in concorrenza con il Trans-Adriatic Gas Pipeline (TAP) della Turchia, ridimensionando il ruolo di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti quali fornitori di greggio all’Occidente. Alla luce di tutto ciò, col senno di poi, è quindi possibile comprendere il motivo per il quale l’ex presidente USA Barack Hussein Obama, abbia supportato il sedicente Stato Islamico in Iraq e attaccato militarmente la Siria.

Essendo Joe Biden il successore di Obama, quasi certamente dovrà portare a termine il lavoro iniziato dal Premio Nobel per la Pace, quando aprì sette fronti di guerra e fece scoppiare le varie rivolte arcobaleno e primavere arabe.

Luciano Bonazzi

Ispirato da observateurcontinental.fr

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