#EuropeanUnion: impotente contro le sanzioni USA//impotent against US sanctions

John Robert Bolton, presidente del  Gatestone Institute, politico, avvocato statunitense. Già rappresentante permanente alle Nazioni Unite è l’attuale Consigliere per la sicurezza nazionale USA, nominato dal presidente Donald Trump.
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Dal Gatestone Institute, riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Soeren Kern, Pezzo originale in lingua inglese, EU Unable to Neutralize US Sanctions against Iran, Traduzioni di Angelita La Spada, adattamenti a cura della Redazione.

  • “Chiunque intrattenga rapporti commerciali con l’Iran NON farà affari con gli Stati Uniti.” – Il presidente americano Donald J. Trump.
  • “L’Unione europea chiede alle sue più grandi aziende di rischiare l’intera torta per qualche briciola in più.” – Samuel Jackisch, corrispondente da Bruxelles per l’emittente di radiodiffusione pubblica tedesca ARD.
  • “Attualmente, le ammende ammontano a miliardi di dollari, pertanto, non vale la pena rischiare per un piccolo affare e magari per compiacere un governo europeo.” – Un investitore bancario citato dalla Reuters.

L’Unione europea ha annunciato un nuovo regolamento volto a proteggere le aziende del Vecchio Continente dall’impatto delle sanzioni statunitensi contro l’Iran. La misura, che è stata accolta con scetticismo dai media europei, è improbabile che abbia successo: essa propone alle società europee di mettere in pericolo i loro interessi commerciali nel mercato americano per dei profitti alquanto limitati nel mercato iraniano molto più piccolo. Il cosiddetto “statuto di blocco” è entrato in vigore il 7 agosto, lo stesso giorno in cui è scattato il primo round di sanzioni americane contro l’Iran. Tali sanzioni vietano agli iraniani di acquistare dollari americani – la principale valuta per le transazioni finanziarie internazionali e per gli acquisti di petrolio – e penalizzano diversi settori industriali come quello automobilistico, dell’aviazione civile, del carbone, del software industriale e quello metallurgico. Un secondo ciclo di sanzioni molto più severe che colpirà le esportazioni di petrolio da parte dell’Iran, scatterà il 5 novembre.

L’azione fa seguito alla decisione presa l’8 maggio dal presidente americano Donald J. Trump di ritirarsi dal Piano Congiunto di Azione Globale (JCPOA, noto anche come accordo sul nucleare iraniano) negoziato nel 2015 dall’amministrazione Obama, che ha revocato le sanzioni all’Iran in cambio di un congelamento del suo programma nucleare. L’amministrazione Trump ha detto che l’accordo negoziato dall’amministrazione Obama non è riuscito a ridurre il programma sulle armi nucleari di Teheran o il suo programma di sviluppo di missili balistici né tantomeno è riuscito a contenere il suo comportamento malevolo in Medio Oriente e altrove. Le nuove sanzioni imposte dagli Stati Uniti si applicano non solo ai cittadini e alle aziende Usa, ma anche ai cittadini e alle imprese che non sono statunitensi. In base alla nozione giuridica nota come extraterritorialità, qualsiasi azienda con sede al di fuori degli Stati Uniti deve rispettare le sanzioni americane se usa i dollari per le sue transazioni, se ha una filiale in America o se è controllata da capitali americani.

In una dichiarazione del 6 agosto, Trump ha affermato: “Gli Stati Uniti sono pienamente intenzionati a far rispettare tutte le sanzioni e lavoreranno a stretto contatto con le nazioni che fanno affari con l’Iran per garantirne la piena osservanza. Gli individui o le imprese che non riusciranno a interrompere le attività con l’Iran rischiano gravi conseguenze”.

In un tweet del 7 agosto, Trump ha reiterato questa minaccia: “Le sanzioni contro l’Iran sono ufficialmente scattate. Si tratta delle sanzioni più aspre che siano mai state imposte e a novembre lo saranno ancora di più. Chiunque intrattenga rapporti commerciali con l’Iran NON farà affari con gli Stati Uniti”.

In una dichiarazione congiunta, Federica Mogherini, il capo della politica estera dell’UE, e i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito hanno ammesso apertamente che per l’Unione europea l’accordo sul nucleare iraniano è solo una questione finanziaria e hanno promesso di tutelare le aziende europee dalle sanzioni americane: “Siamo determinati a proteggere gli operatori economici europei impegnati in affari legittimi con l’Iran, conformemente alla legislazione europea e alla Risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ecco perché lo statuto di blocco aggiornato entrerà in vigore il 7 agosto per proteggere le imprese dell’UE che fanno legittimi affari con l’Iran dall’impatto delle sanzioni extraterritoriali statunitensi. Le rimanenti parti del JCPOA si sono impegnate a lavorare, tra l’altro, alla preservazione e al mantenimento dei canali finanziari efficaci con l’Iran nonché al proseguimento delle esportazioni iraniane di gas e petrolio. Su queste, come su altre questioni, continueremo a lavorare, anche con paesi terzi [come la Cina e la Russia] interessati a sostenere il JCPOA e a mantenere le relazioni economiche con l’Iran”.

Lo statuto di blocco, adottato dall’UE nel 1996 per aiutare le aziende europee a evitare le sanzioni americane contro Cuba, è stato aggiornato nel giugno 2018 per annoverare sanzioni che gli Stati Uniti sono tornati a imporre contro l’Iran. Il documento, in puro gergo dell’UE, afferma: “Lo statuto di blocco consente agli operatori [economici] dell’UE di ottenere il risarcimento dei danni causati dalle sanzioni extraterritoriali che rientrano nel suo ambito di applicazione rivalendosi sulle persone che li causano e annulla gli effetti nell’Unione europea delle sentenze emesse dai tribunali stranieri basate su queste sanzioni. Lo Statuto vieta anche ai cittadini dell’UE di rispettare tali sanzioni, se non espressamente autorizzati a farlo dalla Commissione [europea], nel caso in cui l’inadempienza danneggi gravemente i loro interessi o gli interessi dell’Unione”.

In altre parole, l’UE proibisce ai cittadini e alle aziende dell’Unione europea di rispettare le sanzioni statunitensi e autorizza le società europee colpite dalle sanzioni Usa a fare causa al governo americano per ottenere un risarcimento nei tribunali europei. Inoltre, le aziende europee che lasciano l’Iran senza l’approvazione della Commissione europea rischiano di essere citate in giudizio dai Paesi membri dell’UE. Molti commentatori europei hanno affermato che il programma dell’UE sarebbe impraticabile, soprattutto per le multinazionali europee con interessi commerciali negli Stati Uniti.

Il quotidiano londinese Financial Times ha scritto: “Diplomatici e avvocati hanno sollevato seri dubbi sulla capacità dell’UE di proteggere le imprese europee che operano in Iran dalle misure statunitensi. Lo statuto di blocco, introdotto nel 1996, è stato raramente testato. Un alto funzionario dell’UE ha affermato che ci sono pochi precedenti legali su cui i giudici dei Paesi membri dell’Unione europea possano fare affidamento per chiedere i danni a Paesi terzi come gli Stati Uniti, se citati in giudizio dalle aziende”.

In Francia, Le Figaro ha scritto che la risposta della Commissione europea alla sanzioni statunitensi è stata “avventata” ed equivale a un “gesto politico”.

Le Monde ha descritto la misura dell’Ue come “un segnale politico per il regime iraniano, che ha preteso dei segni di impegno europeo per difendere il JCPOA”.

L’Express ha osservato: “Se un’azienda è attiva nel grande mercato statunitense e nel piccolo mercato iraniano, allora non beneficia molto del fatto che le sue attività sono protette in Europa e in Iran, ma non negli Stati Uniti”.

Radio France Internationale (RFI), una emittente radiofonica pubblica francese, ha affermato che gli effetti dello statuto di blocco sarebbero “più simbolici che economici”. E ha aggiunto: “La legge sarebbe più efficace per le piccole e medie imprese che fanno affari in Iran. Per le grandi imprese, la soluzione sta nel negoziare con gli Stati Uniti deroghe o esenzioni. Ma tali richieste dalla Francia, da parte della Germania e del Regno Unito sono già state respinte da Washington”.

La Croix ha scritto: “Inutile dire che l’attuazione di questa legge di blocco rimane molto ipotetica, in quanto si addentra in territori giuridici incerti. Le aziende che investono in Iran non sembrano credere molto nell’efficacia del dispositivo. Il gruppo petrolifero Total, l’armatore Maersk o la casa automobilistica Peugeot hanno già deciso di andarsene. Il gruppo tedesco Daimler ha annunciato ieri il suo ritiro dall’Iran. Questi gruppi hanno più paura della capacità degli Stati Uniti di applicare le sanzioni che dell’ira dell’UE”.

In Germania, l’emittente televisiva pubblica ARD ha pubblicato un editoriale a firma del corrispondente da Bruxelles Samuel Jackisch, titolato “Bel Ruggito, Tigre di Carta – L’Ue senza difese contro le sanzioni americane”, in cui il giornalista afferma che la nuova politica dell’Unione europea è “logica, ma è una scelta insensata” ed è un tentativo da parte del capo della politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, di “difendere il suo retaggio politico”. E Jackisch aggiunge: “L’Ue può cercare di ribaltare le relazioni transatlantiche, ma alla fine vinceranno gli Stati Uniti. I volumi delle esportazioni tedesche verso l’Iran potrebbero non essere trascurabili poiché ammontano a circa tre miliardi di euro. Ma queste stesse imprese esportano 35 volte di più verso gli Stati Uniti. L’UE chiede alle sue più grandi aziende di rischiare l’intera torta per qualche briciola in più”.

L’emittente pubblica tedesca ZDF ha scritto: “La struttura particolare dello statuto di blocco dell’UE è la seguente: di solito, le leggi e i regolamenti vietano qualcosa. Ad esempio, una legge anti-dumping vieta alle imprese di praticare il dumping per costringere i concorrenti a uscire dal mercato. Ma la legge di blocco dell’Unione europea è un appello ad agire: commerciare con l’Iran e non lasciarsi dissuadere dalle minacce del presidente americano!”

Il quotidiano Westdeutsche Allgemeine Zeitung ha citato il direttore generale della Camera del Commercio e dell’Industria (DIHK), Martin von Wansleben, il quale ha definito la misura dell’UE “una debole reazione politica”. E ha detto che il suo scopo è quello di mostrare che l’Unione europea non si piega alle sanzioni statunitensi. Per le singole aziende, egli ha affermato, lo statuto di blocco “non ha rilevanza”.

In Austria, Der Standard ha scritto: “La storia mostra che lo statuto di blocco non è un antidoto efficace alle sanzioni americane. (…) Anche se Washington dovrebbe astenersi dalle sanzioni extraterritoriali, il mercato americano è troppo importante perché le imprese si mettano a rischio”.

In Italia, Südtirol News ha citato l’analista finanziario Robert Halver di Baader Bank: “A causa delle sanzioni americane contro l’Iran, l’industria tedesca lascerà l’Iran. Se si considera che l’industria tedesca ha centuplicato il giro d’affari in America, beh, essa non intratterrà relazioni commerciali con l’Iran perché là sono in vigore le sanzioni contro le imprese tedesche. Pertanto, l’Iran adesso inizierà senz’altro a soffrire duramente”.

L’edizione europea di Politico ha scritto: “Alcuni esperti affermano che le misure dell’UE difficilmente avranno l’effetto desiderato, argomentando che lo statuto di blocco creerebbe oneri giuridici per le imprese europee senza impedire agli Stati Uniti di prendere di mira le loro filiali e gli asset americani. Per numerose imprese, il rischio di essere tagliate fuori dagli affari negli Stati Uniti – un mercato molto più grande di quello iraniano – è sufficiente per indurle a piegarsi alle richieste di Washington”.

Un investitore bancario citato dalla Reuters ha dichiarato: “Sarebbe un suicidio fare affari o investire in Iran o lavorare con aziende legate all’Iran senza garanzie esplicite da parte del governo americano. Ci tengono per la gola a causa del volume di affari in dollari. Attualmente, le ammende ammontano a miliardi di dollari, pertanto, non vale la pena rischiare per un piccolo affare e magari per compiacere un governo europeo”.

A dimostrazione di ciò, poco prima che le sanzioni Usa contro l’Iran entrassero in vigore, la Daimler, la casa automobilistica tedesca, ha rinunciato a espandere le sue attività in Iran. “Abbiamo sospeso le nostre attività già limitate in Iran conformemente alle sanzioni applicabili”, ha dichiarato la Daimler in un comunicato. Decisioni simili a quelle della Daimler sono state prese da: Adidas (Germania); Allianz (Germania); AP Moller-Maersk (Danimarca); Ciech (Polonia); Citroen (Francia); CMA CGM (Francia); DZ Bank (Germania); Engie (Francia); ENI (Italia); Lloyds (Regno Unito); Lukoil (Russia); Maersk Tankers (Danimarca); Oberbank (Austria); Opel (Germania); Peugeot(Francia); PGNiG (Polonia); Renault (Francia); Scania (Svezia); Siemens(Germania); Swiss Re (Svizzera) e Total (Francia).

Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.