Il jihad palestinese

Soldati Palestinesi, foto jewishworldreview. Dal Gatestone Institute, riceviamo il seguente articolo di Bassam Tawil, Pezzo in lingua inglese, The Palestinian Jihad Against Peace Traduzioni di Angelita La Spada, adattamenti a cura della Redazione.

Il jihad palestinese contro la pace

  • Secondo il segretario di Stato americano Mike Pompeo, un imminente summit globale promosso dagli Stati Uniti per discutere di Medio Oriente e Iran “raggrupperà numerosi paesi da tutto il mondo, da Asia e Africa, le nazioni dell’emisfero occidentale, l’Europa e ovviamente il Medio Oriente”.
  • La strategia palestinese si basa ora sull’istigazione degli arabi contro i loro leader. Questo è il messaggio che Abbas e i suoi funzionari inviano agli arabi: “Dovete unirvi a noi nella nostra campagna volta a impedire ai nostri leader di fare pace con Israele. Dovete condannare, come se fosse un traditore, qualsiasi leader che cerchi di normalizzare le relazioni con Israele”.
  • Altri dirigenti di punta palestinesi si sono spinti oltre avvertendo i paesi arabi che qualsiasi forma di normalizzazione dei rapporti con Israele sarebbe considerata un atto di tradimento.
  • Adesso resta da vedere se i paesi arabi si arrenderanno all’ultima campagna palestinese di incitamento e intimidazione.

I leader palestinesi hanno di recente intensificato i loro sforzi per impedire ai paesi arabi di normalizzare le loro relazioni – o addirittura firmare accordi di pace – con Israele. La campagna prende posizione contro le notizie in merito a un miglioramento nelle relazioni tra Israele e alcuni paesi arabi, nonché a una recente visita in Oman da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Lo spettro della pace tra i paesi arabi e Israele è diventato un incubo per i leader palestinesi. Invece di preoccuparsi della possibilità di costruire un futuro migliore – di cui i palestinesi hanno disperatamente bisogno – i dirigenti palestinesi lavorano febbrilmente per ostacolare qualsiasi tentativo di avvicinamento tra i paesi araci e Israele.

Come parte della campagna “anti-normalizzazione”, i leader palestinesi in Cisgiordania stanno ora esercitando pressioni sui paesi arabi affinché questi ultimi boicottino un summit globale promosso dagli Stati Uniti per discutere di Medio Oriente e Iran, che è previsto per il prossimo mese in Polonia.

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dichiarato in un’intervista televisiva che l’incontro “si concentrerà sulla stabilità in Medio Oriente, sulla pace, la libertà e la sicurezza qui e in questa regione e ciò include un importante elemento per assicurare che l’Iran non sia un’influenza destabilizzante”. Il summit, ha affermato Pompeo, “raggrupperà numerosi paesi da tutto il mondo, da Asia e Africa, le nazioni dell’emisfero occidentale, l’Europa e ovviamente il Medio Oriente”.

I leader palestinesi sarebbero convinti che l’imminente conferenza faccia parte di uno sforzo statunitense volto a normalizzare le relazioni tra i paesi arabi e Israele. Il presidente dell’Autorità palestinese (Ap) Mahmoud Abbas e i suoi alti funzionari e portavoce a Ramallah ritengono che qualsiasi cosa l’amministrazione americana faccia o dica sia una “cospirazione, volta a liquidare la causa palestinese e a minare i diritti nazionali dei palestinesi”.

Abbas e la sua Ap boicottano l’amministrazione americana sin dalla decisione presa nel dicembre del 2017 dal presidente Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come la capitale di Israele. Da allora, hanno sfruttato ogni occasione per esprimere la loro condanna del piano di pace per il Medio Oriente della Casa Bianca che ancora non è stato presentato, noto anche come “l’accordo del secolo”.

Il 23 gennaio, i leader palestinesi che si sono incontrati a Ramallah, in Cisgiordania, la capitale palestinese de facto, hanno respinto il piano americano di tenere la conferenza in Polonia e hanno anche invitato i paesi arabi a non partecipare al summit. Piuttosto, hanno loro chiesto di riaffermare il loro impegno nei confronti dell’Iniziativa di pace araba, una proposta in dieci punti per porre fine al conflitto arabo-israeliano che fu approvata dalla Lega araba nel 2002.

Israele ha espresso riserve in merito al piano di pace della Lega araba, soprattutto sulla richiesta di ritirarsi ai confini indifendibili esistenti prima del 1967, con aggiustamenti territoriali, incluso un ritiro dalle alture del Golan, come pure il “diritto al ritorno” per i profughi e i loro discendenti alle loro vecchie case in Israele. Inondare Israele con milioni di palestinesi trasformerà gli ebrei in una minoranza – com’è presumibilmente intenzione del piano.

In altre parole, l’Iniziativa di pace araba di fatto richiede la creazione di due Stati palestinesi: uno in Israele e un altro in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est. Il primo ministro Benjamin Netanyahu avrebbe affermato che l’unica parte positiva del piano è la volontà delle nazioni arabe di raggiungere la pace e ottenere la normalizzazione delle relazioni con Israele.

I leader palestinesi non hanno trovato il tempo per discutere dei modi per migliorare le condizioni di vita della loro popolazione. Non hanno discusso della “crisi economica e umanitaria” in corso nella Striscia di Gaza. Tali questioni non sono mai state sulla lista delle loro priorità. Ciò che tormenta Abbas e l’Autorità palestinese sono le notizie di un riavvicinamento tra alcuni paesi arabi e Israele.

Il segretario generale dell’Olp Saeb Erekat, che ha dedicato gli ultimi due decenni della sua vita a stigmatizzare Israele e gli Stati Uniti, è stato uno dei primi leader palestinesi a lanciare un segnale d’allarme sull’imminente conferenza organizzata dall’amministrazione statunitense. In linea con la lunga tradizione palestinese di bollare tutto ciò che riguarda Israele e gli Stati Uniti come una “cospirazione”, Erekat ha dichiarato che il summit in Polonia è “finalizzato ad aggravare le divisioni nella regione”.

Erekat sembra particolarmente preoccupato del fatto che alcuni paesi arabi parteciperanno alla conferenza e parleranno a nome dei palestinesi, o addirittura normalizzeranno le loro relazioni con Israele. L’Olp, egli ha chiosato, è l’unica parte autorizzata a parlare a nome dei palestinesi in qualsiasi negoziato relativo alla questione palestinese.

Anche altri dirigenti di punta palestinesi si sono spinti oltre avvertendo i paesi arabi che qualsiasi forma di normalizzazione dei rapporti con Israele sarebbe considerata un atto di tradimento. Abbas Zaki, ad esempio, un alto esponente di Fatah, la fazione al potere del presidente Abbas, ha detto a proposito del palese riavvicinamento tra alcuni paesi arabi e Israele: “La normalizzazione delle relazioni tra diversi paesi arabi e Israele è un atto di tradimento e codardia”.

In un’altra dichiarazione, Zaki ha biasimato la recente visita in Israele da parte di certi arabi, definendola “una profonda pugnalata alla lotta nazionale palestinese”. Il riavvicinamento tra alcuni paesi arabi e Israele, egli ha aggiunto, fa parte di una cospirazione finalizzata a facilitare il controllo esercitato da Israele e l’egemonia sulle risorse arabe.

Mohammed Shtayyeh, un altro esponente di punta di Fatah ed ex negoziatore di parte palestinese, ha dichiarato che i palestinesi sono delusi e rattristati per la normalizzazione delle relazioni tra gli arabi e Israele. In un’intervista rilasciata all’emittente radiofonica dell’Autorità palestinese Voce della Palestina, Shtayyeh ha attribuito il riavvicinamento tra alcuni arabi e Israele alla “situazione di declino” nei paesi arabi e islamici.

Tre gruppi palestinesi – il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP), il Fronte democratico per la liberazione della Palestina (FDLP) e Hamas – hanno inoltre invitato gli arabi a opporre resistenza a qualsiasi tentativo da parte dei loro leader di fare pace con Israele e hanno detto che è giunto il momento di adottare “severe misure per affrontare i pericoli della normalizzazione delle relazioni con Israele”.

Anche il primo ministro dell’Ap, Rami Hamdallah, si è unito al coro, esortando gli arabi ad astenersi da qualsiasi forma di normalizzazione dei rapporti con Israele. In un discorso pronunciato il 20 gennaio a un summit arabo per lo sviluppo sociale ed economico, tenutosi in Libano, Hamdallah ha affermato che la normalizzazione dei rapporti tra i paesi arabi e Israele non dovrebbe avvenire prima della creazione di uno Stato palestinese indipendente, con Gerusalemme Est come sua capitale, sui confini esistenti prima del 1967. Egli ha invitato tutte le istituzioni e le imprese arabe ad attenersi alle direttive della Lega araba di boicottare Israele.

È quantomeno pura ipocrisia per l’Autorità palestinese e per i suoi leader pretendere che gli arabi boicottino Israele quando essi stessi parlano e lavorano con Israele. Lo stesso Hamdallah, che invita gli arabi a boicottare Israele, s’incontra regolarmente a Gerusalemme con il ministro delle Finanze israeliano Moshe Kahlon. Un altro ministro palestinese che partecipa regolarmente a riunioni con i funzionari israeliani è Hussein al-Sheikh, anch’egli un alto dirigente di Fatah.

La strategia palestinese si basa ora sull’istigazione degli arabi contro i loro leader. Questo è il messaggio che Abbas e i suoi funzionari inviano agli arabi: “Dovete unirvi a noi nella nostra campagna volta a impedire ai nostri leader di fare pace con Israele. Dovete condannare, come se fosse un traditore, qualsiasi leader che cerchi di normalizzare le relazioni con Israele”.

La campagna “anti-normalizzazione” dei palestinesi fa anche parte del loro sforzo volto a contrastare “l’accordo del secolo” promesso da Trump, che, secondo alcune voci, invocherà la normalizzazione delle relazioni tra gli arabi e Israele. I palestinesi affermano di essere determinati a sventare il piano di pace di Trump che non è ancora stato reso pubblico e il suo tentativo di normalizzare le relazioni tra Israele e i paesi arabi. Attualmente, dunque, la “diplomazia” palestinese si è ridotta a questo: vanificare i piani di pace e la normalizzazione arabo-israeliana. Questo è ciò che accade quando Mahmoud Abbas e i suoi dirigenti non hanno nulla di buono da offrire alla loro popolazione. Adesso resta da vedere se i paesi arabi si arrenderanno all’ultima campagna palestinese di incitamento e intimidazione.

             Bassam Tawil è musulmano, vive e lavora in Medio Oriente.