Trump e Netanyahu: entrambi indagati per reati immaginari di Alan M. Dershowitz

Dal Gatestone Institute, riceviamo il seguente articolo di Alan M. Dershowitz, che Orizzonti Geopolitici pubblica, come da consuetudine democratica, pur non condividendone appieno i contenuti. Pezzo originale in lingua inglese, Trump and Netanyahu: Both Being Investigated for Made-Up Crimes, Traduzioni di Angelita La Spada, adattamenti a cura della Redazione. foto axios.com

 

  • La somiglianza più eclatante è che entrambi sono sotto inchiesta per azioni che gli organi legislativi di entrambi i Paesi non considerano esplicitamente criminose.
  • I politici desiderano sempre avere una copertura mediatica favorevole e molti votano in questa prospettiva. Alcuni addirittura negoziano una buona copertura prima del voto. Ecco perché hanno addetti stampa e media consultant.
  • Né si potrebbe abbozzare una legge adeguata per coprire la presunta condotta di Netanyahu, ma non quella di altri membri della Knesset che hanno barattato i loro voti in cambio di una buona immagine mediatica. Per tale motivo, nessuna assemblea legislativa di qualsiasi paese governato in base al principio dello Stato di diritto ha mai fatto sì che una copertura mediatica favorevole diventasse il quid o quel qualcosa necessario per infliggere una condanna per corruzione, e pertanto l’incriminazione per corruzione nei confronti di Netanyahu non dovrebbe essere confermata dai tribunali.
  • Non è affatto un crimine per un presidente utilizzare il suo potere in politica estera per ottenere vantaggi politici, tanto per il suo partito quanto personali. Si provi a immaginare il Congresso che cerca di approvare una legge che definisce ciò che costituirebbe un uso criminoso di potere in politica estera, da non confondersi con un abuso politico o morale.
  • L’aspetto fondamentale dello Stato di diritto è che nessuno può essere indagato, perseguito o messo sotto accusa, a meno che la sua condotta non abbia violato divieti preesistenti e inequivocabili.

La somiglianza più eclatante tra le indagini condotte contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è che entrambi sono sotto inchiesta per azioni che gli organi legislativi di entrambi i Paesi non considerano esplicitamente criminose. Nella foto: Trump e Netanyahu in una conferenza stampa congiunta del 15 febbraio 2017, tenutasi a Washington, D.C. (Fonte dell’immagine: Casa Bianca)

Nelle indagini condotte dal Congresso degli Stati Uniti contro il presidente americano Donald J. Trump e in quelle contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che è stato appena incriminato, si possono ravvisare tanto delle sorprendenti somiglianze quanto delle differenze importanti. La somiglianza più eclatante è che entrambi sono sotto inchiesta per azioni che gli organi legislativi di entrambi i Paesi non considerano esplicitamente criminose. Inoltre, nessuna assemblea legislativa di qualsiasi Paese governato in base al principio dello Stato di diritto avrebbe mai emanato una legge generale che criminalizza tale condotta. Le indagini condotte su questi due controversi leader politici si basano sull’utilizzo di leggi generali che mai prima d’ora erano state considerate applicabili ai casi in esame e si fondano sulla possibilità di estenderle per attaccare specifiche figure politiche.

Netanyahu è stato incriminato per corruzione in quanto avrebbe accettato di aiutare una società di telecomunicazioni in cambio di una copertura mediatica più favorevole e/o meno negativa. Sussistono punti controversi in merito ai fatti, ma anche se sono visti in un’ottica meno favorevole a Netanyahu, essi non costituiscono un reato di corruzione. Né la Knesset avrebbe mai emanato una legge che consideri reato per un parlamentare esprimere un voto al fine di ottenere una copertura mediatica favorevole. Se una tale legge fosse mai approvata, tutti i membri della Knesset sarebbero in prigione. I politici desiderano sempre avere una copertura mediatica favorevole e molti votano in questa prospettiva. Alcuni addirittura negoziano una buona copertura prima del voto. Ecco perché hanno addetti stampa e media consultant.

Né si potrebbe abbozzare una legge adeguata per coprire la presunta condotta di Netanyahu, ma non quella di altri membri della Knesset che hanno barattato i loro voti in cambio di una buona immagine mediatica. Per tale motivo, nessuna assemblea legislativa di qualsiasi paese governato in base al principio dello Stato di diritto ha mai fatto sì che una copertura mediatica favorevole diventasse il quid o quel qualcosa necessario per infliggere una condanna per corruzione, e pertanto l’incriminazione per corruzione nei confronti di Netanyahu non dovrebbe essere confermata dai tribunali. Confermare una condanna basata su una copertura mediatica positiva metterebbe a repentaglio tanto la libertà di stampa quanto i processi di governance democratica. I pubblici ministeri dovrebbero evitare le interazioni tra politici e media, tranne nei casi specificamente concepiti come reati, e non in presenza di opinabili peccati politici, e nessuno dovrebbe essere perseguito per azioni che non sono mai state considerate criminose, né lo sarebbero mai, da parte dell’organo legislativo.

Anche il presidente Trump è sotto inchiesta per presunta corruzione. Inizialmente, i democratici pensavano di poterlo mettere in stato di accusa per comportamento non criminale, come una presunta cattiva amministrazione, un abuso di ufficio o una condotta immorale. Credo che ora siano stati convinti da me e da altri che nessun impeachment sarebbe costituzionale se il presidente non fosse ritenuto colpevole di reati specificati nella Costituzione, vale a dire “tradimento, corruzione o altri gravi crimini e misfatti”. Pertanto, la leadership democratica ha ora optato per la corruzione, intesa come un crimine per cui si può mettere sotto accusa il presidente Trump. Il problema di questo approccio – simile a quello dell’approccio israeliano contro Netanyahu – è che non è affatto un crimine per un presidente utilizzare il suo potere in politica estera per ottenere vantaggi politici, tanto per il suo partito quanto personali. Si provi a immaginare il Congresso che cerca di approvare una legge che definisce ciò che costituirebbe un uso criminoso di potere in politica estera, da non confondersi con un abuso politico o morale.

I presidenti hanno perfino intrapreso azioni militari per trarre vantaggi politici. Hanno fornito aiuto a Paesi stranieri per farsi eleggere. Hanno nominato ambasciatori non per la loro competenza, ma per contributi politici dati in passato e previsti nel futuro. Nessuna di tali azioni è stata mai considerata criminosa e il Congresso non si sarebbe mai sognato di farlo. Il Congresso penserebbe a un crimine specifico basato sulla ricerca di un vantaggio politico anziché sul vantaggio politico di parte? Ne dubito. Ma anche se avesse potuto farlo, non l’ha fatto. E se non lo ha fatto, né il Congresso né i pubblici ministeri possono mirare alla criminalizzazione dell’esercizio del potere in politica estera da parte di un presidente perché loro non gradiscono il modo in cui lo ha usato o anche se ne ha abusato.

L’aspetto fondamentale dello Stato di diritto è che nessuno può essere indagato, perseguito o messo sotto accusa, a meno che la sua condotta non abbia violato divieti preesistenti e inequivocabili. E nemmeno il Congresso e i pubblici ministeri possono farla franca, perché anche loro non sono al di sopra della legge.

E ora passiamo alle differenze. Israele è una democrazia parlamentare in cui il primo ministro può essere rimosso con un semplice voto di sfiducia. Non è richiesto né è necessario un meccanismo di impeachment. Gli Stati Uniti, d’altra parte, sono una Repubblica dove esiste la separazione dei poteri e dove vige un sistema di controllo reciproco e di equilibrio. I Padri fondatori, guidati da James Madison, considerarono il potere di impeachment come un elemento fondamentale per preservare la nostra Repubblica e non trasformarla in una democrazia parlamentare. È per questo motivo che respinsero una proposta che avrebbe consentito l’impeachment sulla base della “cattiva amministrazione”. Secondo Madison, questi criteri aperti si sarebbero tradotti in una situazione in cui il presidente avrebbe esercitato le sue funzioni seguendo le volontà del Congresso. Ecco perché Madison insistette sulla necessità di fornire criteri specifici all’impeachment che i Padri fondatori finirono per accettare.

Sebbene le differenze tra Israele e gli Stati Uniti siano considerevoli, questi due Paesi sono accomunati dallo Stato di diritto. Detto ciò, in uno Stato di diritto, correttamente applicato, né Netanyahu né Trump dovrebbero essere ritenuti colpevoli di corruzione.

Alan M. Dershowitz è Felix Frankfurter Professor of Law Emeritus alla Harvard Law School e autore di
“The Case against the Democratic House Impeaching Trump” e di “Guilt by Accusation”.