#WikiLeaks #FreeAssange #Assange Tribunale inglese: No all’estradizione del giornalista negli USA

I manifestanti di fronte all’Old Bailey di Londra durante l’udienza per l’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di Wikileaks, Julian Assange. foto pressgazette.co.uk

 

L’anno 2021 si apre con una buona notizia, infatti, oggi lunedì 4 gennaio, la giudice distrettuale Vanessa Baraitser dell’Old Bailey (Corte Criminale Centrale di Londra), si è sespressa contro l’estradizione di Julian Assange. Negli Stati Uniti, il giornalista australiano fondatore di WikiLeaks è accusato di spionaggio in violazione al Patrioct Act. Secondo questa norma, il cittadino statunitense che viola un segreto militare, negli USA viene perseguito duramente. Paradossalmente, sembra che gli Stati Uniti abbiano la pretesa di poter applicare tale norma anche ai cittadini stranieri. In sostanza, costoro pretendono di poter giudicare quanti, giornalisti e non, siano critici o contrari alle loro politiche imperialiste.

La sentenza odierna giunge dopo anni di battaglie legali di Assange in Gran Bretagna, anche se probabilmente non metterà fine alla paradossale vicenda. Lo dimostra la prima reazione del governo degli Stati Uniti che ha già annunciato che farà ricorso contro la sentenza. Negli USA, su Julian Assange pendono 17 accuse che variano dallo spionaggio, all’uso improprio del computer e alla pubblicazione di documenti militari e diplomatici sul sito d’informazione WikiLeaks. In base a queste accuse, nel caso che gli americani mettano le mani sul povero giornalista, lo attenderebbe una pena di 175 anni di carcere.

Nell’argomentare la sua sentenza, la giudice Vanessa Baraitser ha respinto l’argomentazione difensiva secondo la quale un procedimento giudiziario americano politicamente motivato violerebbe la libertà di parola del giornalista australiano. Tuttavia ha riconosciuto che la precaria salute mentale di Assange peggiorerebbe se questi fosse detenuto in “isolamento quasi totale” negli Stati Uniti: “Trovo che le condizioni mentali del signor Assange siano tali che sarebbe opprimente estradarlo negli Stati Uniti d’America” aggiungendo che questi è “un uomo depresso e talvolta disperato” in grado di aggirare le misure preventive al suicidio delle autorità carcerarie americane.

Fuori dal tribunale, Stella Moris compagna del giornalista e madre dei loro due figli, ha dichiarato che questa sentenza è un primo passo: “Avevo sperato che oggi sarebbe stato il giorno in cui Julian sarebbe tornato a casa” però “oggi non è quel giorno, ma quel giorno arriverà presto” ha aggiunto di sperare che “gli Stati Uniti decideranno di non portare avanti il ​​caso”. In precedenza, la Moris aveva chiesto al presidente uscente Donald Trump di perdonare Assange: “Sig. Presidente, abbatti questi muri della prigione, lascia che i nostri bambini abbiano il loro padre”.

Gli avvocati di Assange hanno intanto annunciato che mercoledì 6 gennaio è fissata l’udienza per ottenere il rilascio su cauzione da Belmarsh, discusso carcere maschile di massima sicurezza presso Londra. Riguardo a questo carcere, l’inviato Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, dopo aver incontrato il giornalista aveva denunciato “Assange ha sintomi di tortura psicologica”. I legali del fondatore di WikiLeaks continuano a sostenere che egli agisse come giornalista ed esercitasse quanto previsto dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti riguardo alla libertà di parola e di stampa. Pertanto secondo la linea difensiva Assange non può essere perseguito per la pubblicazione di documenti che denunciavano le irregolarità e crimini di guerra statunitensi in Iraq e Afghanistan.

A questa formulazione si oppongono però gli avvocati del governo degli Stati Uniti, che accusano Assange di concorso nel furto di documenti classificati in complicità con l’analista dell’intelligence militare Chelsea Manning, nonostante quest’ultima sia stata perdonata. Purtroppo però, la giudice britannica, pur avendo negato l’estradizione, esprime la stessa opinione dei legali statunitensi su questo punto, sostenendo a sua volta che se le azioni di Assange fossero provate: “In questa giurisdizione [il Regno Unito], costituirebbero reati che non sarebbero protetti dal diritto alla libertà di parola”.

In ogni caso, la sentenza di oggi rappresenta un primo passo, poi vedremo quali saranno le future decisioni del “neoeletto” presidente statunitense Joe Biden. Ma prima, quegli esportatori di democrazia, dovranno risolvere le beghe interne legate se non a brogli, a opacità e alle manipolazioni del voto popolare.

 

Luciano Bonazzi

Fonte: apnews.com oltre ai link esterni inseriti nel testo

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