La guerra ebbe inizio il 26 marzo 2015 ed era destinata a durare poche settimane, ma l’offensiva “Tempesta”, nel corso degli anni, ha solo periodicamente cambiato nome. Stando alla retorica arabo-occidentale, questa guerra è parte di una strategia regionale anti-iraniana. Va infatti ricordato, che la scusa ufficiale era quella di reintegrare al potere l’ex-presidente  Abed Rabbo Mansour Hadi  dopo la sua deposizione da parte dell’improbabile alleanza tra gli Houthi e l’ex presidente  Ali Abdullah Saleh. .

Uno stallo persistente

La coalizione ha per così dire “liberato” circa due terzi del paese, area abitata da un terzo della popolazione. Non si può parlare di liberazione, dal momento che gli Houthi non hanno mai abitato quella zona. Ad esempio, nel 2015 la Battaglia di Aden venne combattuta tra truppe guidate dagli Emirati Arabi Uniti (EAU) e le forze fedeli Ali Abdullah Salehtra, nemico degli Houti, dai quali venne poi ucciso nel 2017

Dall’autunno del 2015, lo stallo militare è stato risolto in modo significativo solo nella pianura di Tihama lungo la costa del Mar Rosso, ma la coalizione non ha fatto nessun progresso significativo. Altrove, l’impasse persiste ampiamente, oltretutto, la coalizione non ha saputo cogliere l’opportunità offerta da un conflitto tribale tra gli Hajour e gli Houthi: segnale di mancanza di strategia militare.

La disgregazione dello Yemen

Il paese è oggi diviso tra aree occupate dalle monarchie arabe e altre controllate dai ribelli Houthi. Dove governa, il movimento Houthi usa il pugno di ferro per garantirsi la sopravvivenza. Nelle zone occupate dai regni arabi, riconosciute a livello internazionale, l’unico potere esistente è quello di potentati locali che governano interessandosi poco al benessere delle popolazioni. Se prima del crollo dell’URSS, lo Yemen era diviso in due stati distinti poi unitisi, dopo questa guerra,il livello di frammentazione è tale da essere irreparabile.

Nei governatorati del sud e ad est, la sicurezza è garantita dalla milizia armata salafita, estremisti reclutati, addestrati e finanziati dagli EAU. Gli Emirati Arabi Uniti utilizzano anche combattenti di Al-Qaeda sotto copertura, fuggiti dalla Siria. Sono proprio queste milizie sunnite, ad essere utilizzate nelle offensive contro gli Houthi, per essi nemici in quanto sciiti.

Gli Emirati Arabi Uniti sostengono poi il Southern Transitional Council, un gruppo separatista e tramite società di pubbliche relazioni, organizzano viaggi dei suoi membri in varie capitali occidentali, per accreditarli come leader democratici, aggravando così la disgregazione dello Yemen.

L’economia del paese, era già debole in tempi normali, oggi la povertà coinvolge l’80% della popolazione. Prima della guerra, la popolazione rurale (il 70% degli yemeniti) viveva di agricoltura e bestiame, integrando i redditi con lavori precari, oppure con le rimesse di parenti che lavoravano Arabia Saudita.

Nella nuova economia di guerra, la maggior parte dei redditi sono legati al conflitto. Si sopravvive con gli scarsi aiuti umanitari internazionali ed elargizioni di denaro contante dalla Banca Mondiale. Il contrabbando è un’attività comune in tutto il paese, mentre per i cittadini, la fonte più affidabile di reddito è l’arruolamento in una delle fazioni militari, Houthi, Milizia Meridionale, Esercito Regolare… ecc.: gli unici posti di lavoro con salari regolari.

La peggiore crisi umanitaria del mondo

Per decenni, lo Yemen ha importato il 90% dei suoi cereali, la situazione umanitaria era già grave prima della guerra, ora il conflitto ha portato il disastro. Nel 2017, la situazione del paese è stata descritta dall’ONU come “la peggiore crisi umanitaria del mondo” .

Se oggi l’ONU descrive la situazione yemenita disastrosa, va detto che ha evitato di lanciare l’allarme “carestia” per via dell’impatto che avrebbe sulla reputazione delle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite. Nel 2018 dopo vari appelli, sono stati raccolti 3 miliardi di dollari, a fronte di un fabbisogno di 4,2 miliardi.

La crisi umanitaria è vissuta da decine di organizzazioni non governative (ONG), come un’opportunità, in molti casi riescono a raccogliere somme ingenti, che impiegano subappaltando poi a intermediari yemeniti gli interventi. Le ONG giustificano questa procedura con la mancanza di affidabilità delle istituzioni yemenite: una preoccupazione che però si dovrebbe estendere anche ad esse.

“Cerchiamo la pace” vendendo armi

Il sostegno degli Stati Uniti all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti avviene attraverso la vendita di armi, l’assistenza tecnica e il supporto d’intelligence. Quest’ultimo ruolo, viene oggi stigmatizzato da una parte del Congresso degli Stati Uniti, in seguito all’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista assassinato da spie saudite addestrate dalla CIA.

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Un uomo esibisce una foto di Jamal Khashoggi davanti all’ambasciata saudita di Washington foto ilpost.it

Negli Stati Uniti, l’assassinio di Khashoggi, ha portato molti cittadini a porsi domande sulla moralità dell’alleanza con Arabia Saudita. Questi interrogativi hanno permesso al nuovo Congresso eletto nel novembre 2018, di adottare risoluzioni contro la guerra nello Yemen, usando per la prima volta nella storia il Powers of War Act del 1973.

Le differenze tra le politiche dell’amministrazione Trump e l’amministrazione Obama sono inesistenti, entrambi i leader hanno favorito e favoriscono strette relazioni con i regni arabi, a scapito di milioni di yemeniti. Un’altra convergenza tra statunitensi e sauditi, riguarda l’ossessione per l’Iran, l’unica incarnazione del male, da quando l’amministrazione Trump ha rimosso la Corea del Nord dalla lista degli stati canaglia.

Oltre agli USA, Regno Unito, Francia, Italia, Germania e Paesi Bassi sono coinvolti nella vendita di armi utilizzate dai sauditi nello Yemen. Intanto, l’opinione pubblica di questi paesi inorridisce apprendendo delle centinaia di vittime degli attacchi aerei su ospedali, scuole, mercati, matrimoni e funerali. Nonostante la censura mainstream occidentalista, le immagini quotidiane dei bambini affamati e assassinati, circolano grazie ai social network.

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L’8 gennaio 2016, Il governo italiano concluse un accordo sulla fornitura di armi ai sauditi, durante il quale scoppiò la squallida risa dei Rolex. Governo in visita in Arabia Saudita. La missione finisce in rissa per i Rolex in regalo

La pace non è vicina

Purtroppo, nonostante l’accordo di Stoccolma del dicembre 2018, nessuno dei decisori coinvolti nei combattimenti è pronto a mettere fine alle sofferenze di milioni di yemeniti. L’attenzione da parte delle Nazioni Unite, probabilmente non impedirà alla coalizione di riprendere l’offensiva militare lì, dopo che avrà distolto l’attenzione l’attenzione globale dallo Yemen.

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Raid saudita in Yemen fa una strage durante un funerale: 616 vittime tra morti e feriti

Mentre l’effetto mediatico dell’assassinio di Khashoggi va sfumando, la pressione dell’amministrazione americana sul regime saudita per porre fine al suo intervento nello Yemen va diminuendo. Intanto gli Emirati Arabi Uniti, non coinvolti nell’affaire, proseguono la guerra nel paese. Nel frattempo, milioni di yemeniti stanno entrando nel quinto anno di sofferenza, fame, malattie, combattimenti e bombardamenti aerei: nell’indifferenza della società occidentale.

Luciano Bonazzi

Fonti: orientxxi.info oltre a tutti i link esterni presenti nell’articolo